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Coronavirus e startup: in Cina dimezzati i round

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Le conseguenze economiche della pandemia di coronavirus sono sotto gli occhi di tutti: fabbriche e negozi costretti a chiudere, commerci fermi, lavoratori in cassa integrazione. Un settore delicato che potrebbe crollare è quello delle startup innovative che, con la crisi del Covid-19, rischiano di chiudere definitivamente. Naturalmente non si tratta di un problema solo italiano, bensì mondiale. I deal dei venture capital cinesi sono diminuiti tra il 50 e il 57% dall’inizio della pandemia, uno stop enorme per l’ecosistema cinese. Qualora la stessa situazione dovesse verificarsi a livello mondiale, anche per una manciata di settimane, si calcola che nel 2020 verranno persi circa 28 miliardi di dollari di investimenti in startup, con ricadute drammatiche sull’ecosistema globale. Le previsioni provengono dal report firmato da J.F. Gauthier, founder e ceo di Startup Genome, e dal suo collega Arnobio Morelix, chief innovation officer di Startup Genome.

Il punto di partenza è la Cina: è qui che bisogna guardare per capire l’impatto che il Covid-19 avrà nel resto del mondo. La produzione industriale cinese ha avuto un calo del 13,5% nei primi due mesi dell’anno, mentre le vendite al dettaglio hanno subito un taglio del 20,5% rispetto all’anno scorso. Il freno all’economia cinese ha spaventato gli investitori, così si è registrata una contrazione dei deal dei VC fino al 57%. La Cina ha subito il crollo più grande nei finanziamenti, seguita dal resto dell’Asia. Se la contrazione che si è verificata in Cina si presentasse anche nel resto del mondo, per le startup significherebbe una crisi dalla quale sarebbe difficile riprendersi, dal momento che senza il sostegno dei venture capitalist molte società innovative sarebbero costrette a chiudere. Per avere un’idea: nelle due recessioni passate negli ultimi anni (2000-2001 e 2007-2009) il crollo dei finanziamenti da VC è stato tra il 21 e il 29% in 12 mesi: traslato ai giorni nostri, equivarrebbe a una perdita di 86,4 miliardi di dollari.

“Considerando questo scenario e il fatto che le startup sono al primo posto tra i motori che creano posti di lavoro nelle moderne economie, per i governi è un imperativo capire cosa fare e agire secondo un metodo condiviso” dicono gli autori del report. “D’altra parte occorre ricordare che le crisi aprono le porte a quelle aziende che riescono a navigare nella tempesta, e che la metà delle aziende nella Fortune 500 hanno iniziato durante periodi di recessione”. Infatti, continuano da Startup Genome, oltre 50 unicorni, valutati in totale 145,2 miliardi di dollari, sono stati finanziati durante gli anni della crisi del 2007-2009: alcuni esempi sono Asana, Quora e Airbnb, avviata perché i suoi founder non riuscivano a pagare l’affitto. Nei periodi di recessione le aziende tradizionali tendono a tagliare posti di lavoro, mentre quelle che li creano sono le aziende più giovani, nate da poco. Per questo, è importante che i governi sostengano l’ecosistema delle startup ora più che mai.

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