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Coronavirus, e se fosse il Fmi ad aiutare la ricostruzione?

Proliferano le proposte per smobilitare nuove risorse che contengano lo tsunami economico provocato dalla pandemia del Coronavirus. Mentre l’Unione europea, al pari dei governi nazionali, è stata richiamata a gran voce a trovar risposte anti-crisi, il Fondo Monetario Internazionale è rimasto sullo sfondo del dibattito sul lancio del nuovo ‘Piano Marshall’ per l’Europa. La memoria collettiva degli interventi in extremis dell’istituto di Bretton Woods ci rimanda ancora oggi, purtroppo, a scenari apocalittici di economie agonizzanti – come la Grecia del 2012 o l’Argentina del 2018 – che il Fondo doveva salvare e che poi, invece, ha ulteriormente gravato con ricette neo liberiste standardizzate e imposte poco democraticamente. La memoria oggi potrebbe però trarci in inganno, impedendoci di prendere in dovuta considerazione un meccanismo di finanziamento innovativo basato sugli Special Drawing Rights, i Diritti Speciali di Prelievo previsti nello statuto del FMI. Domenico Lombardi, già membro del Board del FMI- Banca Mondiale e Senior Scholar della statunitense Brookings Institution, è uno degli economisti che si è maggiormente adoperato in questo esercizio di finanza creativa. Sua la proposta di ricorrere agli SDR in modo ‘non convenzionale’.

Come?

Nella proposta, elaborata insieme a Jim O’Neill, ex segretario al Tesoro britannico e attualmente presidente di Chatham House, prevediamo la possibilità che ci sia una nuova (la quinta) emissione di DSP. Tali DSP verrebbero utilizzati a leva così da amplificare la capacità di fuoco di alcuni paesi, come l’Italia, maggiormente affetti dalla crisi del COVID-19, per finanziare – senza alcuna condizionalità multilaterale – la ricostruzione delle loro economie. Si tratta, peraltro, di tecniche comunemente utilizzate in finanza.

Perché i Diritti Speciali di Prelievo sono stati utilizzati solo 4 volte nella storia del Fondo? In che casi?

I DSP furono creati nel 1969 per supplire alla scarsità di liquidità internazionale. Nel tempo, hanno dovuto fronteggiare la diffidenza degli Stati Uniti, che ne temevano il ruolo potenzialmente antagonistico allo status internazionale del dollaro, e della Germania, che ne paventava le possibili conseguenze inflazionistiche. Entrambi questi timori, oggi, sono superati. I DSP costituiscono solo il 3 percento delle riserve mondiali non auree e l’inflazione non è un elemento di preoccupazione nell’attuale scenario, come testimoniato dai trilioni di base monetaria che sia la Fed che la BCE stanno immettendo nel sistema da svariati anni. In occasione della crisi finanziaria del 2007-09, i paesi membri del FMI decisero ben due allocazioni di DSP per più di EUR 200 miliardi. Giorni fa, il Financial Times ha autorevolmente proposto una allocazione di EUR1,25 trilioni. Noi abbiamo considerato quest’ultimo dato e stimato che l’Italia, per esempio, possa dotarsi – impiegando produttivamente la sua parte di allocazione, pari a circa 40 miliardi di euro – di un arsenale finanziario di almeno 200 miliardi che poi equivale all’intera capacità di prestito del MES allocata a tutta l’Eurozona per fronteggiare la pandemia.

 

Perché oggi, a fonte delle ferite inferte dalla pandemia, non si dovrebbe temere un intervento del FMI in UE? Non crede che ci sarebbe una levata di scudi (non solo in Italia) contro questa eventualità?

Nella nostra proposta non c’è alcun elemento di condizionalità che è, invece, associata a un programma di prestito del FMI piuttosto che del MES. Noi ci concentriamo, invece, sui DSP la cui logica è assimilabile a quella di una banca centrale che batta moneta. Il suo utilizzo non è condizionato.

 

Come dovrebbe funzionare esattamente il meccanismo? E come evitare di cadere in una spirale di debito?

Altri paesi con abbondanti riserve, per esempio gli Stati Uniti o la Cina, potrebbero acquistare le obbligazioni – che pagherebbero un interesse ovviamente – così da remunerare la loro “solidarietà”. L’aspetto cruciale della nostra proposta è che si concentra sull’abilità della comunità internazionale di creare nuove risorse. In altri termini, sia il paese titolare del veicolo che quelli eventualmente sottoscrittori delle sue obbligazioni utilizzerebbero nuove risorse, non prelevate dalla fiscalità generale, facilitando in tal modo la depoliticizzazione del meccanismo di finanziamento. Nel caso dell’Italia, poi, il veicolo potrebbe beneficiare dell’intervento della BCE nella sottoscrizione delle obbligazioni da emettere. Si potrebbe pensare anche ad un veicolo comune ad alcuni o a tutti i paesi dell’Eurozona. Nell’ultimo caso, il rating e il rendimento delle emissioni obbligazionarie sarebbero rispettivamente più alto e più contenuto per non parlare, poi, dell’intervento della BCE che ne sarebbe facilitato”.

 

Come si collocherebbe il ricorso agli SDR nel quadro del Piano Marshall che l’UE sta definendo?

La nostra proposta è politicamente neutrale, nel senso che può essere considerata alternativa o complementare rispetto ad altre fonti di finanziamento. L’aspetto dirimente, tuttavia, è che non andrebbe trascurato il potenziale che il sistema multilaterale, di cui l’Italia è parte, offre rispetto a quello europeo.

 

Il numero uno del FMI, Kristalina Georgieva, ha recentemente dichiarato che la capacità del Fondo di erogare prestiti può arrivare a mille miliardi di USD e già 90 paesi membri finora avrebbero avanzato richieste. Si tratta di un numero mai visto prima. Quali Paesi starebbero pensando agli SDR?

Le dichiarazioni del Direttore Generale del Fmi confermano la straordinarietà della crisi e la necessità di considerare tutte le opzioni. L’emissione di DSP richiede il consenso dell’85 per cento dei paesi membri. Pertanto, gli Stati Uniti con il loro 17 per cento sono in grado di porre il veto. Andrebbe pertanto intavolato, anche da parte italiana, un confronto con l’azionista sistemico sottolineando che nell’anno delle elezioni presidenziali, è interesse dell’attuale amministrazione avere un’economia globale stabile. Peraltro, al contribuente americano, così come ad altri, non verrebbe richiesto nemmeno un centesimo.

 

Non sarebbe strano se l’Italia avanzasse una richiesta al FMI non concordata con Bruxelles? O forse dovrebbe esser l’UE a coordinare e a riponderare, con l’aiuto del FMI, il suo piano Marshall?

Non credo ci sia una dicotomia fra aiuti europei e forme di cooperazione multilaterale di cui l’Italia è un attore potenzialmente rilevante. Del resto, le ultime emissioni di DSP avvennero proprio all’insorgere della crisi debitoria dell’Eurozona. Semmai, l’Italia potrebbe farnese promotrice nell’ambito del suo contributo, anche progettuale, in seno ai vari consessi europei.

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