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Fmi taglia le stime sulla crescita: aumentano i rischi

inflazione economia

Il ritorno dell’inflazione ai livelli ottimali, quel 2% anelato dalle banche centrali, non arriverà prima del 2025: se bisogna scegliere quale informazione dell’ultimo World Economic Outlook dell’Fmi descrive meglio il futuro prossimo dell’economia mondiale, è probabilmente questa.

Perché quel dato sull’inflazione (nell’area euro dall’8,4% del 2022 rallenterà al 5,3% del 2023 fino al 2,9% nel 2024; quella globale scenderà dall’8,7% del 2022 al 7% nel 2023, fino al 4,9% nel 2024), in rialzo rispetto alle precedenti previsioni del Fondo, è quello a cui sono collegate le altre previsioni sull’economia.

La conseguenza pratica di quei numeri? Le possibilità di un “atterraggio morbido” dell’economia si sono indebolite, quelle di “un atterraggio brusco” sono aumentate.

Previsioni di crescita al ribasso e rischi in agguato

Il Fondo monetario internazionale ha quindi ritoccato (al ribasso) le previsioni di crescita economica globale: – 0,1 punti percentuali rispetto alle previsioni di gennaio che significano un crescita del 2,8% nel 2023, addirittura dell’1,3% per le economie più avanzate (dal 2,7 del 2022).

Le previsioni dell’Fmi, oltre a non essere ottimistiche, sono addirittura prudenti, perché confidano nel fatto che le difficoltà recenti delle banche vengano limitate dai vari sistemi finanziari: “La previsione di base, che presuppone che le recenti tensioni del settore finanziario siano contenute, prevede una crescita dal 3,4% nel 2022 al 2,8% nel 2023, prima di salire lentamente e assestarsi al 3% a cinque anni, la previsione a medio termine più bassa degli ultimi decenni”, si legge nel report.

Ecco un riassunto delle previsioni contenute nel World Economic Outlook presentato a Washington dall’Fmi:

  • Italia: sul capitolo crescita, si alza di 0,1 punti la stima 2023 (+0,7%), si abbassa di 0,1 punti la stima 2024 (+ 0,8%). Inflazione: dall’8,7% dello scorso anno, scenderà nel 2023 al 4,5% e nel 2024 al 2,6%.
  • Eurozona: +0,8% quest’anno (+0,1 punti da gennaio) e +1,4% il prossimo (-0,2).
  • Germania: recessione nel 2023 (-0,1% del Pil, con un taglio di 0,2 punti percentuali rispetto alle stime di gennaio), +1,1% nel 2024 (0,3 punti in meno rispetto a gennaio).
  • Francia: +0,7% nel 2023 (stima invariata) +1,3% nel 2024 (stima tagliata di 0,3 punti).
  • Regno Unito: -0,3% del Pil nel 2023 (+0,3 rispetto alle stime); +1,5 nel 2024 (+0,1 punti).
  • Stati Uniti: si alza di 0,2 punti la previsione 2023 (+1,6%), di 0,1 punti la stima 2024 (all’1,1%).
  • Russia: +0,7% nel 2023 (stima alzata di 0,4 punti) e +1,3% nel 2024 (tagliata di 0,8 punti la previsione).
  • Cina: stessa stima del +5,2% nel 2023 e +4,5% nel 2024.

L’analisi dell’Fmi è simile a quella contenuta negli ultimi bollettini della Bce: anche se diminuiscono i costi dell’energia, l’inflazione ‘core’ è ancora forte. Inflazione forte, e anche qui si potrebbe citare la Bce, significa anche tassi d’interesse alti. Che si accompagnano a una maggiore debolezza del settore bancario e un’atmosfera più difficile sui mercati azionari.

E intanto ci sono i rischi.

La guerra in Ucraina (con i suoi possibili effetti sui prezzi dell’energia) non è finita. Senza contare che “un possibile aumento dei prezzi dell’energia da una mancata estensione dell’iniziativa per il grano nel Mar Nero peserebbe ulteriormente sulle importazioni di alimentari, in particolare per i Paesi che non dispongono del margine di bilancio per limitarne l’impatto su famiglie imprese. In un quadro di prezzi alimentari e energetici elevati potrebbero aumentare le tensioni sociali”.

Il “paradosso”

Altro dato da sottolineare è quello sul mercato del lavoro, descritto come ‘tight’ in tutto il mondo: secondo il World Economic Outlook, il tasso medio di disoccupazione resterà al minimo storico del 6,8% per l’insieme dell’eurozona sia quest’anno che il prossimo.

Insomma, gli effetti sull’economia dei tassi d’interesse più alti (sull’inflazione e sull’occupazione) non sono ancora abbastanza evidenti da far immaginare un prossimo allentamento delle Banche centrali sui tassi, dice Pierre-Olivier Gourinchas, consigliere economico e director of Research dell’Fmi. “I mercati del lavoro rimangono molto solidi nella maggior parte delle economie avanzate. A questo punto del ciclo di inasprimento, ci aspetteremmo di vedere ulteriori segnali di indebolimento della produzione e dell’occupazione. Al contrario, le nostre stime sulla produzione e sull’inflazione sono state riviste al rialzo per gli ultimi due trimestri, suggerendo una domanda aggregata più forte del previsto. Ciò potrebbe richiedere un ulteriore inasprimento della politica monetaria o una sua restrizione più a lungo di quanto attualmente previsto”.

“Dobbiamo preoccuparci del rischio di una spirale salari-prezzi incontrollata?”, si chiede il consigliere economico dell’Fmi. “A questo punto rimango poco convinto. Gli aumenti salariali nominali continuano a ritardare gli aumenti dei prezzi, il che implica un calo dei salari reali”.

Paradossalmente, dice il consigliere, “sta accadendo che la domanda di lavoro è molto forte, con le aziende che pubblicano molti posti vacanti, mentre molti lavoratori non sono rientrati completamente nella forza lavoro dopo la pandemia. Ciò suggerisce che i salari reali dovrebbero aumentare, e mi aspetto che lo faranno. Ma i margini aziendali sono aumentati negli ultimi anni – questo è il rovescio della medaglia di prezzi molto più alti ma salari solo leggermente più alti – e dovrebbero essere in grado di assorbire gran parte dell’aumento del costo del lavoro, in media”. Se le previsioni sull’inflazione rimarranno “ben ancorate”, dice l’esperto, “tale processo non dovrebbe andare fuori controllo. Potrebbe, tuttavia, richiedere più tempo del previsto”.

 

 

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