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Coronavirus, perché Cristiano Ronaldo non è Lebron James

Non è uno scivolone. Non uno sfogo, neppure l’insoddisfazione del campione che manca alla sfida con Leo Messi, la sua nemesi, il suo nemico sportivo da oltre dieci anni. Cristiano Ronaldo, il re dei social, 241 milioni di follower tra le varie piattaforme digitali, secondo il recente studio di IQUII Sport. Un magnete per gli sponsor, un riferimento per la comunità digitale che va dall’adolescenza ai 50enni. Insomma, uno che conta, che sposta, che incide. Il suo post sui tamponi (“I tamponi? Una buffonata…) piazzato qualche ora fa su Instagram (e che ora, stranamente è scomparso) non è stato casuale.

 

Non è la prima volta che il portoghese mostra una certa allergia al Coronavirus, alla forza di un virus che ha osato mettere in discussione la sua energia, che gli impedisce di giocare contro il Barcellona. E’ positivo da quasi due settimane, dopo la trasferta in Nations League con la nazionale portoghese, per cui aveva lasciato la quarantena alla Juventus, a seguito della positività di un elemento dello staff bianconero. Una condotta che ha portato la Procura di Torino (e addirittura la Figc) ad aprire un fascicolo per violazione dell’isolamento fiduciario. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ha trovato il tempo pure per ricordarglielo, lui ha replicato sdegnato, senza neppure nominarlo, come osa.

 

Ma stavolta Ronaldo è andato oltre. Il suo messaggio negazionista (nel silenzio della Juventus), di chi mostra di non credere al ruolo dei tamponi nella vicenda Coronavirus – buona parte dei calciatori hanno chiesto di essere sottoposti a meno test, contribuendo così all’esplosione di focolai in Serie A – di chi è giovane, bello, ricco, potente e non può essere fermato da un test sul Covid-19 è estremamente pericoloso. Anzi, grave. Un’immensa platea social segue la vita del portoghese, anche durante la quarantena da positivo, vissuta in piscina, ad allenarsi, a scalpitare sul suo rientro in campo, sostenuto da una parte della stampa che scandiva solo il conto alla rovescia per l’incrocio con Messi.

 

Il virus, l’ospite indesiderato nel corpo da superman di Ronaldo, sarebbe dovuto sparire in fretta. E invece gli impedisce di fare ciò che vuole. Sua sorella, Katia Aveiro, qualche giorno fa, pochi secondi dopo la positività di CR7, ha definito su Instagram il Coronavirus “la più grande frode mai vista”, aggiungendo che “se deve essere lui a svegliare il mondo, allora è un messaggero di Dio”. E lui è riuscito a fare peggio, a diffondere un messaggio negativo mentre l’Italia, l’Europa si dannano l’anima perché la maggioranza dei contagiati non riesce neppure ad accedere al test, ritrovandosi in solitudine contro il nemico invisibile. Mentre a lui, Ronaldo, basta un cenno del capo, un clic sul cellulare per ritrovarsi il tampone infilato prima nel naso, poi in gola.

 

Ronaldo, con la potenza negativa di quel post su Instagram rappresenta l’ennesima istantanea del calcio che non si considera come un pezzo della realtà, piuttosto come un microcosmo indipendente dal virus, dai morti, dalle ambulanze, dal dolore.

 

Ed è un problema solo del calcio, del suo modo di percepire e percepirsi nel mondo, perché per esempio negli Stati Uniti a pochi giorni dal voto c’è un altro fuoriclasse, Lebron James, campione Nba con i Los Angeles Lakers, uno che sposta sui social quanto Ronaldo, che negli ultimi giorni ha piazzato su Instagram estratti dell’intervista realizzata assieme a Barack Obama per un programma su HBO sul voto presidenziale. Lo stesso Lebron in giro per gli Stati Uniti con Michelle Obama e che da mesi utilizza la sua visibilità mediatica per sensibilizzare, richiamare al voto in modo costruttivo, anche durante la furia di Black Lives Matter per la mattanza della polizia a carico dei neri d’America, sostenendo la no profit da lui fondata, More than a Vote, per informare e fornire conoscenze sull’impatto del voto per la comunità afro negli Stati Uniti. Lebron, un fuoriclasse con un pallone da basket e anche uno smartphone tra le mani.

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