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Retail moda, a rischio chiusura 20mila negozi

(Luxury&Finance) – “Una perdita complessiva di 20 miliardi di euro di consumi nel solo dettaglio moda nel 2020, la chiusura definitiva di 20 mila negozi in Italia e la conseguente ricaduta sull’occupazione di oltre 50 mila addetti”: tanto rischia il retail moda con gli ulteriori provvedimenti assunti dal Governo per limitare o contenere gli effetto della pandemia. Lo spiega in occasione dell’audiizione presso la X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera il presidente di Federazione Moda Italia, Renato Borghi. I 114.813 i punti vendita, che occupano 309.849 addetti (dati al 31/12/2019), già soffrivano di una patologia pregressa, conclamata dalla chiusura di oltre 52mila punti vendita negli ultimi 9 anni, a fronte di 26mila nuove aperture. Un saldo ‘natimortalità’ che si traduce in una perdita di 9 negozi al giorno in Italia per 9 anni consecutivi. “Nel 2020, così come il Covid-19 ha avuto un impatto estremamente negativo sui soggetti più deboli e portatori di malattie precedenti, la situazione si è fortemente aggravata – sottolinea il presidente – mettendo a rischio concreto la sopravvivenza di numerose aziende della distribuzione.

 

Il mercato interno nel settore moda, si legge nel documento portato all’attenzione della Camera, dopo un 2019 leggermente positivo rispetto all’anno precedente, ha subito un drastico calo nel I trimestre del 2020 (-15,2%) che è divenuto devastante nel secondo trimestre (-45,2%), senza presentare cenni di ripresa nel III trimestre (-14,5%). In valore, tenendo conto del periodo e della possibilità di incentivare le vendite di prodotti di stagione con promozioni e saldi, “il dato risulta ancor più preoccupante per l’assenza di una minima marginalità che determina la sopravvivenza di qualsiasi attività economica”. Anche lo shopping tourism, che portava 7,5 miliardi di euro di consumi, rappresentando la terza voce di spesa dopo alloggio e ristorazione, “è venuto quasi completamente a mancare con le chiusure di diritto e di fatto delle frontiere, praticamente limitando a meno di un miliardo di euro le vendite a stranieri in tutto il 2020″. Preoccupa, in particolare, l’assenza di cinesi (28%), russi (12%) e americani (11%) che, insieme, rappresentavano oltre il 50% degli acquisti.

 

Per altro, evidenzia Borghi, la sospensione delle attività del dettaglio moda oltre alle attività come bar e ristoranti (tout court nelle zone rosse e a singhiozzo nelle altre zone), “ha comportato importanti danni diretti e indiretti al nostro comparto. Aziende che si ritrovano a dover fare i conti sulle mancate vendite di capi, calzature, accessori ed articoli spostivi e per la partecipazione a cerimonie, feste ed altri eventi che, oltre all’impatto dello smart working sugli acquisti di abiti per il lavoro, notoriamente generano un importante volume di acquisti, quasi obbligati. Se non ci sono flussi di clienti e vengono notevolmente ridimensionate le occasioni di uscita e di incontro è conseguenza logica- chiosa – che gli acquisti di moda si rimandano ed è quello che sta accadendo anche oggi, non solo nelle zone rosse, ma anche arancioni e gialle. Anche l’ingrosso, pur non essendo direttamente coinvolto nelle vendite ai consumatori, sta subendo – per proprietà transitiva – una contrazione quasi totale del lavoro a causa della chiusura delle attività del dettaglio”.

 

Nell’intervento di evidenzia anche che “le prescrizioni degli ultimi Dpcm del 13, 18, 24 ottobre e 3 novembre, hanno originato un blocco dei consumi in tutta Italia con incassi crollati mediamente del 70% anche per chi è potuto rimanere aperto nelle zone arancioni e gialle con conseguenti ripercussioni sulla filiera, in tema di pianificazione dei pagamenti ai fornitori della collezione autunno/inverno 20/21 che, dopo le difficoltà operative della primavera e gli accordi tra gli stessi fornitori e gli Istituti di credito, stavano tornando ad una certa regolarità”. Per questa ragione Federmoda chiede “indennizzi in tutte le zone, non solo le rosse ai negozi e alle attività all’ingrosso”. Poi, contributi a fondo perduto, in proporzione alle perdite di fatturato di novembre a prescindere dal colore delle zone in cui insiste l’attività. “Per il settore moda, evidenzia Borghi, non è possibile prevedere un ristoro, o meglio un indennizzo, che trovi fondamento sui fatturati di aprile. Il settore moda, infatti, ha impatti diversi perché segue collezioni stagionali ed è chiaro che anche il valore delle collezioni e quindi l’impatto sui fatturati delle collezioni primavera / estate rispetto a quella dell’autunno / inverno è notevolmente diverso. È sotto gli occhi di tutti l’impatto dei costi di acquisto e di vendita di una t-shirt, di un paio di bermuda, di un maglioncino o di un abito di cotone, di uno spolverino rispetto a quelli di un maglione o di un abito di lana, di un paio di pantaloni di flanella, di un cappotto o di un piumino”. E ancora, ammettere agli indennizzi del dl Ristori Bis anche i negozi di calzature e quelli di camicie e maglierie, oggi non compresi.

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