L’accordo appena raggiunto tra Ue e Regno Unito serve a limitare i danni. Serve a contenere le conseguenze negative di un errore, Brexit, che arriva da un’altra epoca. Il referendum di quattro anni e mezzo fa avrebbe oggi un risultato ribaltato.
Perché la retorica, intrisa di nazionalismo e sovranismo, che ha sostenuto e fatto vincere il leave oggi non ha più l’appeal di allora. E’ cambiato tutto e la pandemia del Coronavirus ha spazzato via anche le certezze degli irriducibili del ‘facciamo da soli’. Non ci sono più le condizioni per immaginare un qualsiasi vantaggio nell’isolarsi, nel chiudersi dentro i confini stretti, e oggi ancora più asfissianti, della nazione. Non c’è più, o comunque ha perso vigore, anche la corrente a favore di un pensiero che intorno a Brexit sembrava potesse diventare egemone, mettendo insieme i sovranismi europei, e lo sconnesso patriottismo populista di Donald Trump e Boris Johnson.
Si festeggia, oggi, con l’accordo che evita il no deal, lo scampato pericolo rispetto alla fine catastrofica di un terremoto che lascia comunque molte macerie e una ricostruzione difficile davanti.
La Brexit regolata è comunque un passo indietro. Dal 1 gennaio 2021 è più povera l’Europa, senza Regno Unito, e sicuramente è più povero il Regno Unito senza Europa. L’Erasmus senza Inghilterra è un fallimento simbolico, insieme politico, culturale ed economico, che fotografa uno dei passaggi a vuoto della storia.
Poi, arriveranno le conseguenze di medio e lungo termine. E basta pensare alla spinta, forte, per l’indipendenza della Scozia. Oppure, alle risorse e alle potenzialità del Recovery Fund. L’Europa può ritrovare compattezza e capacità di progettare un futuro nuovo. Il Regno Unito rischia una progressiva involuzione.
Brexit è appena compiuta ma c’è già tanto da recriminare.