Lo stadio della Roma, che non ci sarà, è la fotografia del fallimento di una Amministrazione. L’incapacità di fare, i veti incrociati, la burocrazia che si arrotola su se stessa, la corruzione e le vicende giudiziarie, nessuna visione del futuro. Anche la replica del Campidoglio alla decisione della Società è significativa: “Prendiamo atto della decisione presa autonomamente questa sera dal Cda dell’A.S. Roma in merito al progetto per la realizzazione dello stadio a Tor di Valle. Si tratta di una valutazione imprenditoriale”.
No, non è solo una valutazione imprenditoriale. È una resa di fronte al vuoto assoluto della politica. Se cambiano continuamente le carte sul tavolo, nessun investitore può andare avanti, nonostante l’interesse economico e nonostante uno stadio di proprietà sia l’unica prospettiva sostenibile per una società di calcio di prima fascia.
Il Consiglio di Amministrazione della Roma “ha verificato che non sussistono più i presupposti per confermare l’interesse all’utilizzo dello stadio da realizzarsi nell’ambito dell’attuale progetto immobiliare relativo all’area di Tor Di Valle, essendo quest’ultimo progetto divenuto di impossibile esecuzione”. E, ancora: “Dopo aver esaminato le analisi svolte dagli advisor in merito alle condizioni finanziarie, economiche, giuridiche e fattuali del progetto e del relativo proponente – ha preso atto che tali condizioni impediscono di procedere ulteriormente”.
Una pietra sopra otto anni di lavoro, di passi avanti e bruschi stop, di incongruenze e contraddizioni. Certo, pesano il contesto economico e la pandemia. Ma la Roma non rinuncia a fare lo stadio, rinuncia al progetto dello stadio a Tor di Valle. Reso ormai impraticabile da un estenuante tira e molla e da un palese fallimento di chi, amministrando la Cosa pubblica, dovrebbe favorire e non ostacolare, nell’interesse generale, lo sviluppo sostenibile anche attraverso nuove infrastrutture.
