Enrico Letta è il nuovo segretario del Pd. Il suo discorso fiume, in un’Assemblea solo elettiva e interamente digitale, vuole porre le basi perché il suo torni un partito. Con un’identità forte e un’apertura nuova, innanzitutto a giovani e donne. Letta ha la possibilità di farlo perché parla del Pd, che ha contribuito a fondare, dopo una lunga esperienza fuori dalle dispute interne al Nazareno.
Oggi ha la possibilità di rilanciare a partire da una affermazione significativa: “Non avete bisogno di un nuovo segretario ma di un nuovo Pd”. In queste parole c’è, insieme, la possibilità di portare un elemento di novità e di discontinuità sulla scena politica italiana e il rischio di venire rapidamente riassorbito, normalizzato, dagli interessi delle correnti e dei capibastone.
Non è solo la partita di Enrico Letta. È, soprattutto, la partita di una parte della società che può trovare una rappresentanza che negli ultimi anni è stata mortificata da scelte sbagliate.
L’unica possibilità di vincerla è nella determinazione di voler tornare a comprendere i cambiamenti che sono in corso e che la lunga pandemia sta accelerando. L’investimento sui giovani, che Letta identifica nel voto ai sedicenni e nello Ius soli, non è un’opzione. Quello sulla parità di genere, su cui il ritardo del Partito democratico si è dimostrato inaccettabile, altrettanto.
La questione economica è l’altro banco di prova decisivo. Il Pd non può essere subalterno e alla perenne ricerca di un compromesso che consenta di rendere digeribili le politiche degli altri. Le parole di Letta sul rapporto con i corpi intermedi, che vuole recuperare e rendere centrale, sulla sfida per il lavoro e sulla progressività fiscale promettono una nuova identità. Anche su questo fronte, o si cambia o si diventa irrilevanti. O si torna a essere un partito o si lascia spazio agli altri.
