Tra Aristotele e il pollo di Trilussa, l’analisi del Family business lab della Liuc Università Cattaneo e i dati Aidaf-EY della Bocconi. La versione completa di questo articolo, a firma di Maria Elena Molteni, è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2021.
DI VIZI E VIRTÙ del capitalismo familiare si è detto tanto. Qualche volta sovrapponendo due temi: la governance e la dimensione. Non che la prima non offra temi al dibattito: è complessa da gestire, a volte causa di conflitto. Ma è la seconda più che altro che mina le fondamenta della competitività e, dunque, dell’esistenza stessa dell’impresa. In sintesi, le aziende familiari con la giusta dimensione – e purché offrano prodotti di alta qualità come premessa essenziale – possono ben navigare tra le onde della crisi e mostrarsi più resilienti delle società a guida non familiare ma manageriale.
Salvatore Sciascia, co-direttore di Fabula, il Family Business Lab della Liuc Università Cattaneo, insieme a Valentina Lazzarotti, evidenzia con Fortune Italia che “il quadro per le imprese familiari è rassicurante. Rispetto a quelle non familiari sembra abbiano reagito meglio” alla crisi causata dalla pandemia. “Non significa che tutto vada bene. Ma, paragonando la crisi che viviamo a una tempesta, possiamo dire che ci sono imbarcazioni più robuste e altre meno. È più facile trovare tra le prime le imprese di famiglia”. Per Sciascia “arriveranno lacrime e sangue ma sono e saranno soprattutto le non familiari a soffrire di più. Siamo tutti vittime di un’illusione ottica: siccome le imprese familiari sono tante e spesso piccole, ovvero quasi tutte le piccole sono familiari, allora, poiché le grandi difficoltà colpiranno le piccole, qualcuno penserà che è perché sono familiari”. Attenzione dunque a non chiamare in causa Aristotele. Qui il sillogismo proprio non si può applicare.
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