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India, la nuova Cina per le imprese italiane

variante indiana

Mentre gli Stati Uniti sono in prima linea per rafforzare il ruolo dell’India nel mondo in chiave anti-cinese, l’Europa e l’Italia dovranno farsi trovar pronte a un nuovo scenario in cui il subcontinente potrebbe diventare la “nuova Cina” dell’era post-Covid. Vanno lette in questa luce le numerose iniziative per agevolare l’arrivo delle nostre imprese in quest’angolo dell’Asia meridionale promosse dalla rete diplomatica e consolare con il sostegno di Agenzia Ice e Sace. Soggetti che oggi hanno tra le loro missioni prioritarie quella di guidare la comunità imprenditoriale italiana in un mercato sulla carta “non facile” ma in rapidissima espansione, con un peso demografico enorme e un’economia che, in termini nominali, è la quinta del mondo ma la terza per parità di potere d’acquisto e quindi ha il potenziale per crescere più velocemente di altre.

A giustificare previsioni decisamente ottimistiche in una congiuntura difficile come quella attuale sono indicatori importanti come, per esempio, l’età media della popolazione – in tutto oltre 1,3 miliardi di abitanti – che è al di sotto dei 30 anni, l’aumento esponenziale dell’alfabetizzazione digitale (oggi 665 milioni di indiani utilizzano regolarmente internet, saranno almeno 830 milioni tra due anni) e l’esplosione dell’e-commerce che registra ogni anno tassi di crescita a due cifre, una velocità senza uguali al mondo. Non stupisce che il Fondo Monetario e la Banca Mondiale da qualche tempo considerino paesi come l’India, al pari della Cina, non più solo come “marcati emergenti”, ma come vere e proprie potenze economiche, in grado d’influire sugli assetti globali. Secondo l’Istituto di Bretton Woods, nonostante le severe restrizioni per arginare i contagi da Covid imposte dal Premier Narendra Modi, il Pil indiano rimbalzerà di circa il 12% nel 2021 e questa, oltre ad essere la miglior performance economica di tutta l’Asia, è anche la sola stima di crescita a due cifre licenziata quest’anno dagli economisti del FMI per uno dei suoi 189 membri.

Nel caso dell’India, una democrazia non priva di problemi ma senz’altro consolidata, altri fattori hanno contribuito a tingere di rosa l’outlook. E’ opinione condivisa che il suo sistema educativo, rigoroso e meritocratico, sia un vero e proprio asso nella manica del Paese che conta Università di primissimo piano come l’istituto tecnologico di Bombay, l’unico ateneo non americano nella classifica dei cinque più prestigiosi al mondo in questo campo. Le scuole indiane non hanno formato solo “executives” di fama internazionale come il Ceo di Google, Sundar Pichai, e quello Microsoft, Satya Nadella: una ricerca della National Foundation for American Policy ha svelato che proprio l’India è il Paese che oggi fornisce più dirigenti all’industria globale dell’innovazione. A livello macroeconomico, inoltre, gli analisti evidenziano come la propensione al consumo degli indiani sia particolarmente elevata specie se rapportata al Pil. A differenza della Cina, che ha una capacità produttiva in eccesso e una domanda interna ferma, la capacità produttiva indiana non riesce tuttora ad assorbire i consumi, che quindi sono diventati un importante driver di crescita. E questo dato, unito a un aumento piuttosto contenuto del debito, ha regalato al premier Modi, nel 2020, in piena pandemia, ampi margini per contrastare la crisi con stimoli fiscali diretti, riforme strutturali e investimenti pubblici in infrastrutture, misure cruciali per favorire la crescita di lungo periodo nel Subcontinente. Infine, l’India è una delle economie che è riuscita a scalare più rapidamente la classifica dell’ ‘Ease of Doing Business’ (l’indice aggregato, aggiornato annualmente dalla Banca Mondiale, che misura la facilità di fare impresa) passando in soli cinque anni dalla posizione 130 alla 63ma del mondo, nel 2020. Un balzo in avanti eccezionale che certifica la coerenza della linea riformista di Modi e la bontà del suo ‘Make in India’, il piano per attrarre capitali esteri e aumentare la competitività del Paese. Per ora, insomma, la pandemia, che qui ha inferto un colpo durissimo, non sta mettendo seriamente a rischio la priorità strategica del governo: trasformare un Paese meno centralizzato, dirigista e ordinato della Cina, in un’economia di riferimento per il continente, che partecipa alla supply chain mondiale e si propone come hub manifatturiero internazionale.

A Nuova Delhi, anche l’Ambasciatore italiano Vincenzo De Luca non ha dubbi sul destino dell’India come protagonista dell’economia mondiale post-Covid. Anche nella fase più acuta della pandemia, a sua detta, questo mercato non ha mai smesso di offrire interessanti opportunità. Qui il Made in Italy è rappresentato da circa 700 aziende che impiegano oltre 20mila persone ma, precisa, “in un contesto oggi caratterizzato da rapporti bilaterali intensi e costruttivi, che offre risorse di alta qualità a sostegno del nostro export, abbiamo ampio margine per rafforzare la nostra presenza”. In altre parole, per le aziende italiane è arrivato il buon momento per scommettere sulla “corsa dell’Elefante” e iniziare a crederci. Allo scopo di facilitare l’ingresso delle nostre PMI in India e assisterle passo per passo, la nostra Ambasciata ha sviluppato l’innovativa Piattaforma Digitale di Cooperazione Permanente in partnership con Invest India, l’agenzia indiana per la promozione degli investimenti. Ed è stata anche organizzata in piena pandemia la prima missione economica completamente digitale sul Food Processing, iniziativa seguita da circa 70mila addetti ai lavori, che ha prodotto centinaia di contatti B2B tra imprenditori dei due Paesi. Il food processing e il comparto alimentare in generale, sono di enorme importanza perché collegati ai due pilastri dell’economia indiana – agricoltura e industria – e perché rappresentano un tassello insostituibile tra agricoltori e consumatori finali. E vale anche la pena ricordare che, contrariamente alle attese, molti prodotti alimentari italiani sono sbarcati con successo in India proprio durante l’emergenza sanitaria, sulla scia dell’esplosione dell’e-commerce e della crescita smisurata di Flipkart, la Amazon indiana, un market place frequentato mediamente da 150 milioni di consumatori locali. Quello su Flipkart è stato un debutto talmente fortunato da spingere l’Agenzia ICE ad aprire un’altra vetrina virtuale per i nostri prodotti di bellezza su Nykaa, il sito di vendite online specializzato in questo segmento. Questi sono solo alcuni dei progetti che hanno contribuito a limitare la flessione dell’import italiano in India sulla scia del Coronavirus, dimostrando peraltro, aggiunge l’Ambasciatore, che “per promuovere al meglio i prodotti italiani in questa parte dell’Asia bisogna puntare su nuove forme di promozione e di comunicazione, oltre che sull’online”.

D’altra parte, il vertice UE-India seguito, a stretto giro, dal vertice italo-indiano a livello di premier, entrambi tenuti in remoto, hanno spianato la strada a un partenariato economico e strategico rinforzato in settori cruciali come la Green Economy e la sostenibilità energetica, il manifatturiero avanzato, il farmaceutico, l’industria della difesa e, il cosiddetto “lifestyle” inteso come moda, cibo e design italiani. Dalle intese economiche – una quindicina in tutto – siglate da Roma e Nuova Delhi l’estate scorsa è scaturito, fra gli altri, il progetto pilota per la produzione di biogas nello Stato del Karnataka: un impianto appena inaugurato frutto della cooperazione tra l’italiana Maire Tecnimont, specializzata in impiantistica ad alta tecnologia, e il National Institute of Technology che grazie al know-how Tecnimont ha potuto formare ingegneri qualificati e dotarsi di macchinari per la trasformazione dei rifiuti in energia.

Secondo gli analisti, la capacità di resistere alla crisi in atto e la prontezza nel riposizionarsi sul mercato indiano, non appena ripartirà la domanda di beni dall’estero, saranno fattori dirimenti per le aziende italiane che intendono puntare sull’India nell’era post-Covid. Tenendo ben presente – chiarisce ancora De Luca – che per penetrare con successo in qualsiasi comparto del mercato indiano, “è fondamentale adottare progetti che favoriscano l’integrazione delle catene del valore tra i due Paesi e continuare a lavorare, come stiamo facendo, con una prospettiva di lungo periodo e di sistema”.

Parafrasando il celebre Edward Morgan Forster, forse l’India non è ancora pienamente una (terra) promessa… Ma è già oggi, per le imprese italiane, molto più di un richiamo.

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