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In Italia 10 milioni in smart working, ma la qualità del lavoro è da rivedere

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La pandemia ha cambiato profondamente la gestione del lavoro. Fino a quasi un anno fa nessuno poteva anche solo pensare che si potesse lavorare da casa, oggi è diventata una normalità. A certificarlo è lo studio “Work-life balance e gender gap. La vera sfida per il futuro del lavoro” della Rome Business School che mette in luce come siano 10 i milioni di professionisti che lavorano in smart working, tra settore pubblico e privato. Nonostante questo, però, l’Italia agli ultimi posti tra i paesi industrializzati per la qualità dell’impiego.

Il report è curato da Valerio Mancini, Direttore del Rome Business School Research Center. Nel dettaglio lo studio sottolinea che la percentuale di smartworker è cresciuta fino al 34% sul totale degli occupati. Dei 10 mln, circa 7 appartengono al settore privato, mentre circa 2 lavorano nella pubblica amministrazione.

Tuttavia, dallo studio emerge che “il 74% degli italiani ha l’imminente necessità di ricevere una formazione sulle potenzialità dello smart working e sulla digitalizzazione del lavoro” proprio a tutela del benessere personale e familiare e, affinché il lavoro agile sia una vera opportunità. Infatti, il 61% delle famiglie ritiene che dovrebbe essere modulato lasciando al lavoratore stesso la possibilità di decidere se, quando e dove effettuarlo.

Quindi in un’economia post Covid profondamente caratterizzata da smart working, autonomia e flessibilità, la produttività del lavoro, sarà condizionata dalla capacità di assicurare ai lavoratori un equilibrio tra lavoro e vita privata. Sia nel settore pubblico sia in quello privato.

I dati raccolti, infatti, evidenziano come gli investimenti per regolare il questo rapporto siano in grado di migliorare le prestazioni professionali e la produttività. Non solo. Anche contribuire a ridurre quella disparità di genere tanto attesa anche nelle misure del Recovery Plan. Rispetto a quest’ultimo punto, i dati analizzati mettono in luce come l’impatto del coronavirus abbia pesato particolarmente sulle donne in termini di partecipazione economica, anche per questioni legate alla gestione quotidiana della vita familiare.

Sempre rispetto al gender gap nel lavoro la ricerca rivela che i redditi femminili in media sono del 42,8% più bassi rispetto a quelli degli uomini, nonostante i risultati dell’ultimo report del World Economic Forum segnino un miglioramento per l’Italia, passando dal 76esimo posto del 2020 al 62esimo su 156 economie studiate. E anche quando svolgono mansioni simili, le donne scontano ancora un gap del 46,7% rispetto agli stipendi dei colleghi.

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