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Crisi economica e Pmi, per ripartire servono liquidità e mentalità da startup

La crisi per le Pmi continua, con circa 240mila imprese a rischio chiusura per via del crollo dei redditi e della carenza di liquidità. Una conseguenza prevedibile di un 2021 che è iniziato tra nuovi lockdown, contagi in aumento e una campagna vaccinale che procede a rilento. Secondo l’Ufficio Studi di BorsadelCredito.it, fintech italiana nata per supportare le piccole e medie imprese nell’accesso al credito, la liquidità è il nodo centrale da affrontare, ma servono anche imprese pronte a mettere in campo nuove strategie e che sappiano investire per ristrutturarsi in vista del ritorno alla normalità.

Per un anno – osservano gli analisti di BorsadelCredito.it – la priorità è stata, giustamente, la salvaguardia della salute pubblica, sacrificando attività economiche e culturali. A guardare oggi lo stato di salute delle Pmi viene tuttavia da pensare, aggiungono, che forse si sarebbe dovuto fare anche altro. Non che non sia stato fatto, evidenziano, come nel caso dei prestiti garantiti del Decreto liquidità, i ristori e i sostegni, aggiungendo che “forse era il massimo possibile, ma non è stato abbastanza”.

Per BorsadelCredito.it i numeri parlano chiaro: secondo Confcommercio, le cifre emblematiche sono i 128 mld di euro di crollo dei consumi nel 2020, ma anche il rischio chiusura di circa 300mila imprese del commercio al dettaglio non alimentare e del terziario di mercato. Tra queste, 240mila sono conseguenza diretta della crisi di reddito e di liquidità. In più si aggiunge la perdita di 200mila posti di lavoro. Un “gravissimo impatto economico e sociale generato dall’emergenza legata a Covid-19”, come sottolineato da Enrico Postacchini, presidente di Confcommercio Ascom Bologna, durante l’audizione sul decreto Sostegni.

Ma quella di Confcommercio, rimarca BorsadelCredito.it, è una fotografia solo parziale, come dimostra il dato sulla disoccupazione. In totale, secondo Istat i posti di lavoro persi per Covid sono già un milione. Per la precisione, da febbraio 2020 allo stesso mese del 2021, sono 945mila. La diminuzione coinvolge uomini e donne, di tutte le classi d’età, sia dipendenti, con 590mila posti di lavoro in meno, sia tra gli autonomi, dove i posti persi sono stati 355mila.

Nell’arco dei dodici mesi, sempre secondo l’Istat, le persone in cerca di lavoro crescono dello 0,9%, pari a 21mila unità in più, ma crescono ancora di più gli inattivi tra i 15 e i 64 anni con un +5,4%, pari a 717 mila persone in più. E da giugno, quando presumibilmente il blocco dei licenziamenti disposto da decreto sarà rimosso, secondo le previsioni, dovrà essere fronteggiato un altro milione di persone fuoriuscite dal mondo del lavoro.

Secondo Cerved, i posti di lavoro persi in caso di fine dell’emergenza a metà anno saranno 1,3 mln, cioè l’8,2% degli addetti impiegati prima dell’emergenza, che porterebbe il tasso di disoccupazione dal 10% del 2019, al 15% a fine 2021. In caso di crisi protratta fino a fine anno, la riduzione arriva a 1,9 mln di persone, ovvero l’11,7% in meno, con un tasso di disoccupazione che crescerebbe al 17%.

I ristori, sottolinea l’analisi di BorsadelCredito.it, non sono sufficienti: spettano, stando ai calcoli di Confcommercio, a 3 mln di interessati e ammontano in media a 3.700 euro. Per questo Confcommercio ha invocato “moratorie fiscali più ampie e una proroga della moratoria sui prestiti bancari unita all’allungamento dei tempi per il rimborso dei prestiti assistiti da garanzie pubbliche”. Il tema è la carenza di liquidità, che dipende da mancati incassi e si ripercuote sui bilanci e pregiudica, a ben vedere, anche una ripartenza. Perché per ripartire c’è bisogno di investire e, quindi, di liquidità.

Il consiglio di BorsadelCredito.it alle Pmi è quello di avere un atteggiamento proattivo e una mentalità da startup. Anche nei settori più in crisi, come trasporti, ristorazione e viaggi, solo chi ha cambiato marcia e strategia sta riprendendo quota, mantenendo livelli occupazionali e azienda. Pensare che però gli imprenditori ce la facciano da soli è a sua volta utopistico. L’impegno pubblico dovrebbe, secondo l’analisi, essere più improntato a una visione strategica che tenga conto di quello che serve. Digitalizzazione massiccia, formazione e strumenti per la ricollocazione per chi alla fine di questa storia non ce l’avrà fatta e dovrà reinventarsi.

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