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Mattarella nega il bis. Si apre la lunga partita del Quirinale

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Si dice che tre indizi facciano una prova. Ed è ormai la terza volta che pubblicamente Sergio Mattarella dichiara che non concederà il bis al Quirinale. In questo caso la platea prescelta è quella degli studenti dell’Istituto comprensivo Fiume Giallo-Scuola primaria Geronimo Stilton di Roma. “Il Presidente della Repubblica deve seguire tutto per potere intervenire con dei suggerimenti. L’attività è molto impegnativa ma tra otto mesi il mio incarico termina, io sono vecchio e tra qualche mese potrò riposarmi“. Il capo dello Stato, dunque, usa l’argomento dell’età, parlando come se la scelta avesse a che fare quasi esclusivamente con motivazioni personali. Ma niente potrebbe essere più politico della prossima corsa al Colle, come Mattarella sa bene. Ed è per questo che sembra quasi mettere le mani avanti.

Già in occasione del messaggio di fine anno il capo dello Stato aveva spiegato di considerare questo come il suo settimo e ultimo anno di mandato. Successivamente era andato oltre, mettendola sul piano del diritto costituzionale. In occasione dei 130 anni dalla nascita di Mario Segni, infatti, Mattarella aveva ricordato come il suo predecessore avesse espresso la convinzione che fosse necessario introdurre in Costituzione proprio il principio di non rieleggibilità del capo dello Stato.

Ma il nome del prossimo presidente della Repubblica si intreccia per molti motivi alle sorti di questo governo. Mattarella vorrebbe che arrivasse alla fine della legislatura anche perché dall’Europa avrebbero chiesto garanzie che sia proprio Mario Draghi a vigilare fino al 2023 sull’attuazione delle riforme legate al Pnrr. Ma il suo settennato scade a febbraio del prossimo anno e, infatti, ad agosto scatta il famoso semestre bianco, ovvero il periodo di sei mesi che precede l’elezione del presidente della Repubblica in cui non si possono sciogliere le Camere.

Quale sia l’ambizione di Mario Draghi ovviamente non è dato sapere, anche se la sua discesa in campo politica è da molti stata considerata prodromica proprio a una salita al Colle. Il punto è che adesso all’interno della maggioranza che lo sostiene ci sono due spinte opposte: da una parte c’è Matteo Salvini che vorrebbe si andasse a elezioni anticipate per incassare il bottino dei consensi prima che Giorgia Meloni lo sorpassi a destra. Un obiettivo che si avvicinerebbe se il nome per il Colle fosse proprio quello del presidente del Consiglio. “Siamo a metà maggio, febbraio è lontano. Noi non abbiamo candidati nostri e il Quirinale non dovrebbe avere candidati di parte. Mi limito a ricordare che se il Presidente Draghi ritenesse di proporsi, avrebbe il nostro convinto sostegno”, dice infatti il leader della Lega.

Chi non ha fretta che la legislatura finisca è invece il Pd che con il segretario Enrico Letta non soltanto deve tentare di far risalire il consenso ma anche capire quanto e come sia praticabile la strada di un’alleanza con il M5s. “Noi auspichiamo continuità di governo, siamo a favore di questo governo e lavoriamo con il massimo impegno perché le riforme vengano applicate. Gennaio sarà un’altra partita e la affronteremo con lo spirito migliore, per trovare le migliori soluzioni”, sostiene il numero uno dem.

In quest’ottica le opzioni ideali sarebbero due: o un nome diverso da quello di Draghi – ma resta difficile trovarne uno che tenga insieme l’attuale maggioranza senza mettere a rischio il governo – oppure un Mattarella bis, magari sulla scia di quanto accadde con Napolitano. Ovvero non un altro settennato, ma giusto il tempo di portare a termine la legislatura per ‘accompagnare’ l’elezione di Draghi.

Anche in virtù di tutti questi ragionamenti il presidente della Repubblica mette le mani avanti, come a chiamarsi fuori dalle piccole grandi manovre dei partiti che sono già cominciate. Ma molti osservatori si chiedono se Mattarella di fronte a un quadro bloccato e magari all’esigenza di non compromettere i risultati legati all’attuazione del Pnrr potrebbe accettare il ‘sacrificio’. C’è poi un altro elemento a favore della soluzione ponte: il prossimo Parlamento, infatti, avrà un numero ridotto di eletti e anche gli equilibri per la scelta del capo dello Stato sarebbero diversi.

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