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Il tabù della tassa di successione

Come per l’Imu sulla prima casa, la tassa di successione è un tabù. Chiunque la evochi, oggi è il caso del segretario del Pd Enrico Letta, finisce bersagliato dalle critiche prima ancora di poter esprimere un’argomentazione. Il partito del no alle tasse, del resto, ha sempre avuto vita facile ragionando in termini di consenso. In questo caso, l’idea ha un fondamento. Pensare alla tassa di successione come aiuto concreto alla ‘generazione Covid’, quei giovani che subiranno più di tutti e più a lungo termine le conseguenze della pandemia, non dovrebbe far gridare allo scandalo. Almeno non a prescindere e non a priori.

La proposta Dem, peraltro, è sufficientemente prudente. L’intervento a favore dei giovani sarebbe finanziato con l’aumento della tassa di successione per i patrimoni che superano il milione di euro, ma in modo progressivo, con l’aliquota massima che si applica solo sopra i 5 milioni. Da notare che, così come avviene quando si parla di tassazione sulla prima casa, l’Italia è un’anomalia vantaggiosa per il contribuente, se raffrontata a molti altri Paesi europei.

C’è un altro tema da considerare. Se si vuole mettere mano a una riforma fiscale seria, sembra inevitabile dover in qualche modo redistribuire. Senza che questo sia necessariamente interpretato come un ‘togliere ai ricchi’ o, in termini più utili alla propaganda, un ‘colpire i ricchi’.

Non è in questo senso, però, che va letto lo stop netto arrivato dal premier Mario Draghi. “Non ne abbiamo mai parlato, non l’abbiamo mai guardata ma non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli”, è il concetto che il Presidente del Consiglio ha ribadito. Si parla, quindi, non del merito ma della tempistica della proposta. E, sicuramente, Draghi fa il suo mestiere. Un premier deve guardare alle priorità del suo governo, la campagna vaccinale e il Pnrr, e anche alla composizione della maggioranza che lo sostiene. E sa perfettamente che il tema tassa di successione è uno di quelli che divide a prescindere, al bar e a maggior ragione in Parlamento.

Enrico Letta, però, fa un altro mestiere. E da leader del Partito Democratico fa una proposta coerente con la posizione che un partito come il suo deve assumere in una fase come questa. Fa una proposta che ha un colore politico ma che ha anche un fondamento logico. Non a caso, ne parla Joe Biden negli Stati Uniti e, non a caso, è una delle proposte standard del ventaglio di opzioni che propongono, da sempre, il Fmi e l’Ocse.

Resta una questione che va oltre le persone e oltre gli schieramenti. Prima o poi, si deve poter discutere seriamente di fisco e di una riforma del fisco che non potrà per sempre ignorare un problema basilare: per abbassare le tasse a tanti, non si può che chiedere un contributo a chi può darlo. Dire, semplicemente, ‘tagliamo le tasse a tutti’ va bene per gli slogan da usare in piazza ma non per sostenere una riforma credibile.

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