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Paura della firma? Infondata secondo la Corte dei Conti

Paura della firma? No, piuttosto paura di fare a causa della giungla normativa, della scarsa preparazione e della penuria dei mezzi con cui si devono confrontare le amministrazioni pubbliche e i loro dirigenti e amministratori. Per il procuratore generale della Corte dei conti, Angelo Canale, la cosiddetta paura della firma, per sottrarsi a possibili richieste di risarcimento, è un fantasma inconsistente frutto di fantasia se solo si guarda alla realtà: ovvero al numero e agli esiti dei procedimenti a cui sono stati sottoposti dipendenti e amministratori pubblici. Ad innescare quella che è stata chiamata la burocrazia difensiva, i motori messi al minimo da parte degli uffici pubblici, è, soprattutto per il magistrato contabile, il caos legislativo, la mobilità normativa, la ristrettezza dei mezzi. Perché i processi sono pochi e quasi sempre favorevoli agli imputati.

Il suo punto di vista, Canale, l’ha sostenuto nel primo week-end di luglio, in un convegno a Madonna di Campiglio, organizzato dalla Corte dei Conti e dalla provincia di Trento su ‘Pubblica amministrazione e impiego pubblico: prospettive di riforma nel quadro delle iniziative di ripresa del Paese’. Proprio nei giorni in cui nel dibattito politico sono diventati ricorrenti gli appelli dei rappresentanti e associazioni dei sindaci al governo per una riforma, anche in sede penale, della responsabilità amministrativa. È di ieri la nuova invocazione del sindaco di Bari, Antonio Decaro, presidente dell’Associazione dei comuni italiani, al ministro della Giustizia Marta Cartabia.

L’intervento del procuratore generale, che nell’altro secolo ha avuto anche una esperienza da amministratore al patrimonio del comune di Roma, ha preso di mira l’articolo 21 della decreto legge 70 del 2020 che ha riformato, limitandola, la responsabilità erariale nella PA. Dopo la conversione del decreto, e fino al 2023, la possibilità che responsabili di un progetto incappino in una richiesta danni da parte dello Stato per aver sbagliato sul lavoro viene limitata solo ai casi di dolo e non più, come era in passato, anche per colpa grave. Una modifica, che ha preso di mira l’obiettivo sbagliato secondo Canale e che per la Corte dei Conti potrebbe avere delle conseguenze anche nella valutazione del Piano nazionale di ripartenza e resilienza da parte dell’Europa, in quanto la nuova legislazione in deroga italiana, si distacca dai principi richiesti dalla commissione di Bruxelles. Ma per il procuratore capo dei magistrati contabili il fatto è che quella legge “non è la migliore soluzione, ma la più facile” al problema della farraginosità della PA.

La premessa da “cui si è mosso il legislatore è che il rischio di incorrere in responsabilità amministrativa indurrebbe il dirigente all’inerzia dalla quale deriverebbero i ritardi nella realizzazione di piani, progetti e opere non è dimostrata. Non è stata oggetto di alcun serio approfondimento, non è stata supportata da alcuna analisi, io non ho visto nessun numero, né da alcun dato”, ha detto Canale aprendo il suo intervento.

Così ha provato a darli lui. Secondo Canale, nel biennio 2019-2020, sono stati promossi “circa 2.000 giudizi di responsabilità, [nel secondo anno, ndr] il numero è un po’ ridotto perché [l’andamento dei procedimenti, ndr] ha risentito della situazione pandemica”. Di questi, circa un quarto ha comportato un rinvio a giudizio. L’analisi dei casi arrivati davanti al giudice mostra una prevalenza di quelle “direttamente connesse alla commissione di reati e non legati alla responsabilità di firma: 470 casi, in tutto, fra 2019-2020. Le frodi comunitarie sono un centinaio, numerosi casi di assenteismo, come i furbetti del cartellino, mancate [riscossioni] di entrate tributarie e di canone. Percezione di emolumenti non dovuti, indebiti conferimenti di incarichi e di consulenze. Danni derivanti da attività sanitaria. Indebita percezione o impiego di contributi pubblici [e] indebita corresponsione di premi, indennità e trattamenti accessori, omesso recupero di crediti, ritardati o mancati accertamenti. Danni derivanti dalla mancata cura del patrimonio pubblico, assunzioni illegittime falsi invalidi eccetera”. Se questo è lo scenario, per il magistrato, non c’è “nulla che si possa ricondurre a ipotesi di responsabilità oggettive o legate a firme incautamente apposte o a responsabilità che non siano riconducibili a condotte quantomeno colpose”.

Continuando il suo ragionamento il procuratore generale della Corte dei Conti è andato avanti lungo il percorso segnato della procedura. È vero che “nel biennio sono state numerose decine le citazioni legate alla realizzazione di opere pubbliche o ad attività contrattuali. Abbiamo detto numerose decine, ma si converrà che in rapporto alle stazioni appaltanti che sono circa 30.000, non sembrano tali da aver determinato una così diffusa paralizzante paura e gli effetti della cosiddetta burocrazia difensiva”. Per altro l’esito dei procedimenti è stato spesso favorevole agli indagati.

Mediamente, ha dettagliato Canale, “su 100 istruttorie solo 3 o 4 diventano giudizi di responsabilità e solo il 60% si conclude con una sentenza definitiva di condanna. Le tantissime archiviazioni nella fase istruttoria, oltre il 90%, le tante assoluzioni al termine del processo danno conto della particolare attenzione da parte di pubblici ministeri e giudici alle difficoltà operative che affrontano sia gli amministratori che i dirigenti. Alla considerazione della poca chiarezza normativa nella quale opera il funzionario, alla scarsità dei mezzi a disposizione”, che Canale indica come le vere cause dell’eccesso di prudenza nella PA.

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