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La giungla delle partecipate di Roma Capitale

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La Corte dei conti ordina al Comune di riprendere il controllo delle partecipate e di razionalizzarle, eliminando doppioni e riducendo gli sprechi. La versione originale di questo articolo, a firma di Alberto Sisto, è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio/agosto 2021.

Pubblichiamo, insieme all’articolo, una nota di Fabio Casasoli, Amministratore unico Fiera Roma.

SOCIETÀ DOPPIONE, sgangherate o senza bilanci da anni. Municipalizzate con perdite superiori ai ricavi, accumulate sotto gli occhi socchiusi del Comune. Società avviate alla liquidazione di cui si tenta il rientro in servizio. Altre rimaste sul groppone per il più classico dei codicilli. Sono le caratteristiche dell’arcipelago, ancora indefinito, delle società a partecipazione comunale a cui una governance al tempo stesso strabica e ciclopica da parte di Roma Capitale affida buona parte dei servizi: pulizia, trasporti, gestione di permessi, e attività ludiche.

La rilevazione, consegnata a giugno, l’ha fatta la sezione per il Lazio della Corte dei conti che, sotto il titolo Gestione delle partecipazioni societarie di Roma Capitale, dopo una disamina della gestione comunale, ordina al Comune di riprenderne il controllo visto che i risultati in rosso di queste attività gravano sui bilanci di Roma Capitale, ma anche sui cittadini che pagano, a carissimo prezzo, pessimi servizi. Un documento che tutti dovrebbero leggere. Gli aspiranti sindaci, che si affronteranno a ottobre nella contesa elettorale, per capire se siano all’altezza di un simile incarico. I cittadini, per usarlo come metro per soppesare le proposte dei candidati. Ma anche per valutare i risultati della sindaca in carica.

COMANDO INCROCIATO

Tutto parte dal caos imperante nella testa del guidatore. Scrive il magistrato estensore Giuseppe Lucarini: è stato “rilevato che la compresenza di un numero eccessivo di soggetti e di centri di responsabilità, otto, ha reso, di fatto, non funzionante l’esercizio del controllo ‘integrato’, per il cui funzionamento appare necessario rivedere e razionalizzare la normativa comunale di riferimento valutando l’istituzione di un unico ufficio deputato”.

Ed è forse questa la critica più pertinente all’amministrazione in carica, guidata per il quinquennio dalla sindaca Virginia Raggi. Non aver messo a punto una linea di comando in grado di avviare la cura di questo ‘bubbone’, che certamente si è formato nel passato, prima del suo arrivo, ma che è in continua crescita. L’invito dei magistrati contabili all’amministrazione è chiaro.

Serve “superare l’attuale frammentato assetto organizzativo che intesta in forma coordinata e congiunta l’esercizio del controllo a un numero eccessivo di soggetti e strutture, per alcune delle quali l’affidamento di poteri di gestione amministrativa appare discutibile”. Perché nella confusione e ambiguità dei ruoli le cose, poi, sfuggono di mano, tanto che non c’è ancora una mappa completa degli asset in portafoglio a Roma Capitale.

La ricognizione del Comune, racconta la delibera, “si è interessata delle società controllate direttamente, delle partecipazioni indirette di controllo, ma non delle partecipazioni indirette non di controllo”. Solo Ama, che gestisce i servizi ambientali, ne conta 10, fra cui una nella Fondazione amici del Teatro Brancaccio, che non approva bilanci dal 2007. Altre cinque sono in pancia a Eur Spa e altre 13 in quella di Acea. E queste ancora non esauriscono l’elenco. Tirando le fila i magistrati contabili affermano che si è consolidata “una situazione gestionale gravemente carente sotto tutti i principali profili: non sono stati assegnati obiettivi gestionali, non sono stati approvati i Piani strategici operativi, non sono state presentate relazioni di controllo concomitante e i bilanci non risultano approvati per molti organismi”. Insomma, l’agglomerato municipale sembra un piccolo Efim comunale, l’Ente partecipazioni e finanziamento industria manifatturiera andato in malora negli anni 90.

GOVERNANCE SCHIZOFRENICA

Con tante bocche aperte è facile che ci siano ripensamenti o non si arrivi mai a formulare indicazioni precise. Nel caso, non unico, di Roma Metropolitane, si legge nella relazione, “emerge un atteggiamento contradditorio del socio pubblico nelle scelte di razionalizzazione di tale società, con oscillazioni tra decisioni di segno contrapposto nell’arco di pochi mesi: nel 2019, infatti, viene disposta la messa in liquidazione della società; nel 2020 se ne ipotizza il risanamento con conseguente revoca dello stato di liquidazione, senza peraltro avere chiarezza della situazione finanziaria a causa della mancata approvazione dei bilanci di esercizio, presupposto invero necessario per la legittimità di ogni scelta da parte del socio pubblico”.

Una vicenda simile riguarda anche la tentata vendita della partecipazione in Ama multiservizi. È una società che si occupa dei servizi di pulizia nelle scuole e nei giardini in partecipazione con Manutencoop, una delle maggiori cooperative di servizi. Il Comune avrebbe dovuto venderla entro il 31 maggio del 2021, nuovo termine dopo quello mancato del 31 dicembre del 2018. Ma, volendola cedere, i consiglieri hanno scoperto che il nuovo statuto, approvato nel 2019, prevedeva ancora la “prevalenza del capitale pubblico”, il controllo del comune, e quindi per completare la vendita bisognava modificare lo statuto appena cambiato. La classica situazione in cui la mano destra non sa cosa fa la sinistra. E in effetti quello che lamentano i magistrati, e su cui tornano ripetutamente, è il disordine diffuso. Disordine nelle attività, nelle regole nella distribuzione delle partecipazioni.

DOPPIONI E TRIPLONI

Invitati a chiarire la distinzione societaria fra Roma Metropolitane e Roma Servizi per la mobilità, gli amministratori comunali hanno spiegato, senza convincere i giudici, che a “R.M. S.r.l. è affidata la progettazione delle reti metropolitane e filoviarie, mentre a R.S.M. S.r.l. è affidata la progettazione delle reti tramviarie”. Una separazione di “dubbia razionalità”, il commento dei magistrati contabili. Che rimangono a dir poco stupefatti davanti al quadro d’insieme del servizio di trasporto pubblico.

Per come attualmente organizzato presso il Comune di Roma, risulta erogato con il concorso di una pluralità di soggetti: Roma Capitale, in quanto proprietaria delle reti; Atac, gestore delle reti in quanto affidataria in house del servizio di trasporto metropolitano, filoviario, tramviario, oltre che su gomma e sulle ferrovie cd. ex concesse; Roma Metropolitane S.r.l., cui è affidata la progettazione e realizzazione (come stazione appaltante) di nuove linee metropolitane e filoviarie; Roma Servizi per la mobilità S.r.l., affidataria in house di attività di progettazione delle reti tramviarie e di ulteriori attività sino al 2010 svolte da Atac”.

Raggi, rileva la relazione, vuole mantenere il 10% di Eur Spa, la società che ha in mano la gestione anche realizzativa del quartiere creato da Benito Mussolini per l’esposizione universale del 1942 anche senza che ci sia una effettiva ragione. Nel vasto portafoglio di partecipazioni detenute da Roma Capitale, infatti, la Corte ha trovato ulteriori soggetti che, svolgono attività “analoga o similare” a quella svolta da Eur Spa Zetema, Patrimonio Spa e l’azienda speciale Palaexpo, che gestisce il Palazzo delle Esposizioni, il museo Macro e l’ex Mattatoio, i cui spazi sono stati destinati per realizzare eventi culturali.

L’Ama, la municipalizzata per la gestione dei rifiuti ha due fondi immobiliari creati per dismettere il proprio patrimonio, immobiliare e industriale. La legge impone di metterle a fattor comune. Invece, stigmatizza la Corte, “il processo di razionalizzazione societaria risulta ancora incompleto, detenendo il Comune di Roma partecipazioni in un numero elevato di enti, non solo societari, che in alcuni casi svolgono attività tra loro analoghe o similari e che, pertanto, dovrebbero essere razionalizzati”. Spesso a fermare la riorganizzazione sono stati anche i contenziosi provocati dalla mala gestione, come nel caso di Roma Metropolitane: dove Comune e azienda si rinfacciano dei debiti da saldare al consorzio che ha realizzato i lavori della metropolitana. Alcune perché imbrigliate in contenziosi legali, come la vendita della partecipazione nella Centrale del latte, che pure fa soldi. Mentre altre sono vere e proprie aziende fantasma.

IL CIMITERO DEGLI ELEFANTI

È lungo l’elenco dei caduti. Farmacap: gestisce 40 farmacie comunali, una delle pochissime società di questo tipo in rosso e avrebbe accumulato perdite per 17 mln negli ultimi. Il condizionale è d’obbligo perché la società non approva i bilanci dal 2013. Investimenti: la società ha in gestione il sistema fieristico della Capitale (ex Fiera di Roma e nuova Fiera di Roma) per mezzo della controllata Fiera Roma srl, che non può imputare i propri fallimenti al blocco delle manifestazioni imposto dalla pandemia da Covid-19. La casa madre registra, prima del 2019, ricavi in centinaia di migliaia di euro e perdite in milioni.

La controllata Fiera di Roma non ha approvato i bilanci di esercizio per il periodo 2014 – 2019. Ecomed: progetta termovalorizzatori e non risulta ad oggi avere approvato i bilanci di esercizio 2016, 2017, 2018 e 2019, con conseguente integrazione del presupposto per l’avvio della procedura di cancellazione della società dal registro delle imprese. Roma Metropolitane: società la cui liquidazione è stata ripensata dal Comune, anche per non perdere i finanziamenti per le metropolitane della Capitale, che presenta “diffuse e reiterate criticità nella gestione del rapporto finanziario e contabile con il socio pubblico, con conseguente inattendibilità dei bilanci di esercizio 2016 – 2018, secondo quanto indicato in motivazione, ritardi nell’approvazione dei bilanci di esercizio 2015 – 2018 e mancata approvazione bilanci 2019 e 2020”.

Atac: qualche anno fa è entrata in una procedura concordataria, oggi sta in piedi a fatica, e per domani è in arrivo, come si dice a Roma, una “tranvata”. In primo luogo, la Corte ha fatto molte osservazioni sui compensi, esagerati, pagati ai professionisti intervenuti nel tentativo di salvataggio. Ma la preoccupazione dei magistrati contabili è soprattutto per l’esistente.

Dai prospetti, rileva la Corte, “risulta un valore del contenzioso pendente pari a 433,8 mln”, per il quale Atac ritiene che il rischio soccombenza sia “possibile” per 236,6 mln e “probabile” per 197,2 e per il quale ha accantonato appena 12 mln e rotti contro i 120 suggeriti dalle buone maniere economiche. Ma a rendere ancora più incerta la prospettiva è l’imminente cessione di alcune tratte redditizie: il primo luglio Atac perderà “la gestione di due delle tre ferrovie ex concesse (Roma – Viterbo e Roma – Lido). Per effetto del subentro della Regione nella gestione, la municipalizzata perderà 700 dipendenti, ma anche 75 mln di trasferimenti regionali.

MULTIUTILITY DEL NULLA

Messa all’angolo dai magistrati contabili, l’amministrazione romana ha balbettato un’idea di riorganizzazione delle partecipazioni: “Si anticipa che si sta valutando la costituzione di un unico soggetto, che funga da multiutility quale polo del benessere del cittadino, erogando a suo favore specifici servizi. In tale polo si valuterà la possibilità di far confluire enti quali Zetema, Farmacap e altri operanti nel settore del turismo e della gestione immobiliare poiché sebbene siano soggetti giuridici diversi, gli stessi sono ugualmente tesi a un comune obiettivo: curare il benessere, l’intrattenimento e la socialità della popolazione”. La si potrebbe chiamare panem et circenses.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio/agosto 2021. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

Pubblichiamo, insieme all’articolo, una nota di Fabio Casasoli, Amministratore unico Fiera Roma.

Egregio Direttore,

per la stima che nutro per il vostro giornale, mi preme fare una precisazione doverosa a proposito di quanto ho letto nell’articolo “La giungla delle partecipate di Roma Capitale”, pubblicato sul numero scorso di Fortune. Vi si scrive che Fiera Roma non ha approvato i bilanci di esercizio per il periodo 2014-2019. È errato: i bilanci relativi a questi anni sono stati regolarmente approvati e depositati a maggio di questo anno, con una tempistica del tutto a norma, dal momento che la struttura fieristica capitolina è uscita dal concordato nel 2020 e nel periodo di procedura concorsuale non c’è obbligo di deposito di bilancio.

Un cordiale saluto e grazie per l’attenzione,

Fabio Casasoli, Amministratore unico Fiera Roma

 

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