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Le lacrime di Biden, la crisi di una leadership

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, parla alla nazione nel momento più difficile della sua storia, politica e personale. A Kabul, un doppio attacco kamikaze dell’Isis ha appena fatto una strage e ucciso soldati americani, i marines che difendono un aeroporto fino a ieri frontiera fra la speranza della libertà e l’oppressione del nuovo regime talebano e oggi spazio indifendibile, esposto alla follia del terrorismo.

L’Afghanistan è diventato una gigantesca trappola. Per la popolazione, prima di tutto, per tutto il personale, militare e non, che sta tentando di salvare più persone possibile e per l’intero fronte occidentale, guidato dagli Stati Uniti.

Joe Biden ha dovuto spiegare agli americani e al mondo le ragioni di un disastro. Evidenti gli errori, che vanno condivisi anche con le precedenti amministrazioni, ma che mettono il presidente degli Stati Uniti nella posizione di dover giustificare in qualche modo un fallimento epocale.

Lo ha fatto con gli strumenti dialettici che una situazione del genere consente e suggerisce di utilizzare. La retorica patriottica, la promessa di una ritorsione, la sofferenza dell’uomo, che si mostra in lacrime.

Il messaggio di Biden assume un’importanza enorme per l’assoluta emergenza di Kabul, per la complessa situazione internazionale e anche per il futuro della sua leadership negli Stati Uniti.

Le parole e le immagini possono contribuire a orientare il corso delle cose in un senso o in un altro. E le lacrime possono essere lette e metabolizzate in maniera diametralmente opposta. Possono dare spessore umano a un leader in difficoltà, e creare un’empatia con la nazione nella sofferenza condivisa per la morte e per l’orrore. Oppure, possono accentuare la percezione di debolezza che storicamente il popolo amaricano non perdona al presidente.

La gestione di un errore, che in questo caso sta avendo conseguenze catastrofiche, è un banco di prova difficile da affrontare per qualsiasi leadership. E le parole, insieme alle immagini, sono uno strumento fondamentale.

La comunicazione diventa essenziale quando ci sono crisi profonde da risolvere.

La reazione di fronte a uno shock può orientare e potenziare, oppure stemperare, il consenso e il dissenso. E contano anche i tempi della reazione.

A poca distanza dal messaggio di Biden, sono arrivate le parole del premier Mario Draghi. “Condanno questo orrendo, vile attacco contro persone inermi che cercano la libertà. Ringrazio tutti gli italiani che si prodigano in questo straordinario sforzo umanitario per salvare i cittadini afghani”. Sintetico, essenziale. Sicuramente in ritardo e questa volta meno efficace. E se anche uno come Draghi, che della comunicazione chirurgica ha sempre fatto un’arma importante, riesce a incidere poco, vuol dire che l’imbarazzo e la tensione delle lacrime di Biden sono condivise anche dai suoi alleati.

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