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Il futuro dell’economia europea passa dalle elezioni in Germania

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A meno di una settimana dalle elezioni che chiuderanno l’era Merkel, la Germania guarda alle ultime stime sulla produzione industriale che crescerà del 3%, a fronte del 3,5 previsto a giugno. La Lega federale dell’industria tedesca (Bdi), che ha diffuso i dati, spiega che “la correzione” è dovuta alla “stagnazione della spesa dei consumatori privati nel 2021, scesa del 2% in termini reali nei primi sei mesi dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2020”. La conseguenza è che “il tasso di crescita annuale precedentemente previsto dell’1% non è più raggiungibile”.

A trainare l’economia tedesca sono però le esportazioni che hanno registrato quest’anno un aumento dell’8,5%. Un segnale molto positivo, ma che secondo la Bdi – Bundesverband der Deutschen è da prendere con le dovute cautele. Sia per “problemi nelle catene di approvvigionamento globale, sia per gli alti costi di logistica e le controversie commerciali irrisolte” che “offuscano le prospettive”. I partners commerciali della Germania in questo momento sono diversi, ma fra tutti spicca l’Italia. Di recente è stato proprio l’inquilino di Palazzo Chigi, Mario Draghi, a ricordare nel corso del 1Forum economico italo- tedesco il legame tra le economie dei due Paesi. E non solo perché entrambi sono il “motore manifatturiero” dell’Europa, ma anche perché “nel 2020 gli scambi” tra Roma e Berlino “ammontavano a 116 miliardi di euro. La Germania commercia più con la Lombardia che con la Turchia. E l’Italia commercia più con la Baviera che con l’intera Polonia”. L’export tedesco è forte anche verso gli Stati Uniti, mentre gli affari con la Cina sono aumentati in misura minore. In ogni caso, l’omologa tedesca di Confindustria non sembra preoccupata dalla pandemia. Entro la fine dell’anno la maggior parte della popolazione sarà vaccinata, per questo è difficile immaginare ancora conseguenze del virus sull’attività economica. Le previsioni in questa direzione danno in salita la produzione nel quarto trimestre fino a tornare ai livelli pre-crisi.

Ma gli occhi di Berlino sono però puntati su Bruxelles, o meglio sugli strumenti straordinari che la Commissione ha messo a diposizione degli Stati membri per l’uscita dalla crisi. Tra i temi cruciali della campagna elettorale, che accende in questi giorni la sfida tra i maggiori partiti della Repubblica Federale tedesca, ci sono le scelte di politica economica in Europa. L’austerity degli ultimi vent’anni, di cui Angela Merkel è stata una delle principali fautrici, trova ancora sostenitori. Tra i ‘falchi’ tutti ricordano l’ex ministro delle Finanze della Cdu, Wolfgang Schauble, mentre candidato attuale dei cristiano-democratici è Friedrich Merz. Il quale ha già fatto sapere di non accettare alcuna deroga ai requisiti fissati da Maastricht per la permanenza nell’Unione economica e monetaria. Da parte del Partito Socialdemocratico tedesco si punta, invece, sull’attuale ministro delle Finanze e candidato cancelliere, Olaf Scholtz. I Paesi dell’area mediterranea fanno il tifo per lui. Sarebbe favorevole a rendere permanenti le misure del Next Generation Eu e anche il ricorso all’emissione di titoli di debito comuni per finanziarlo.

Ma se è vero che Berlino guarda all’Ue, è vero soprattutto il contrario. Bruxelles e tutti i Paesi dell’Unione monitorano con grandissima attenzione le elezioni tedesche. Dopo 16 anni di governi Merkel i riflettori sono puntati sul 26 settembre. Stando ai sondaggi sarebbero favoriti i socialdemocratici. L’incognita principale riguarda, tuttavia, il tipo di coalizione che potrebbe formarsi dopo il voto che, ricordiamolo, si svolgerà con un sistema proporzionale con sbarramento al 5%. Le ipotesi in campo sono diverse. Su ognuna di esse a pesare maggiormente sarà la dottrina economica dei singoli partiti pronti ad allearsi.

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