C’è un mondo che si trasforma, che innova e si muove a una velocità sempre più elevata. E poi c’è la Rai lottizzata, fuori dal tempo. A ogni tornata di nomine, lo stesso rituale stanco, con le scelte contrattate, la tensione che sale, gli ultimatum e l’immancabile compromesso al ribasso.
Non è una questione di nomi, alle volte impresentabili e altre meno. È un tema più strutturale, che puntualmente si impantana nella richiesta di una riforma vera della governance della Rai, che non arriva mai. Si arriva sempre agli stessi slogan, peraltro ripetuti senza alcuna convinzione: la politica fuori della Rai oppure la privatizzazione della Rai.
La domanda che viene da farsi, e che non riesce a trovare risposte, è sempre la stessa: è possibile che il servizio pubblico debba essere per forza il risultato di una spartizione del potere che nulla, o ben poco, ha a che fare con la qualità di manager e giornalisti?
Le altre aziende a controllo pubblico, pensiamo a Eni, Enel o alle Poste, hanno i vertici nominati dall’azionista Mef (e sono quindi espressione del governo) ma non hanno i partiti che entrano in ogni nomina e, soprattutto, rispondono al mercato e ai risultati, finanziari e industriali. Perché la Rai non può essere un’azienda contemporanea, con una governance efficiente e capace di assicurare un servizio pubblico degno, a partire dall’informazione?
L’obiezione che ricorre è che la lottizzazione della politica sia il prezzo da pagare al servizio pubblico. Non è così o, almeno, non deve essere per forza così. Non sembra impossibile arrivare a una soluzione che consenta di tenere insieme criteri di gestione e di selezione dei vertici giornalistici trasparenti e indipendenti dai partiti con la vigilanza affidata al Parlamento, anche con poteri più ampi se necessario.
Servirebbe una riforma vera, con una governance sana. Servirebbe un governo capace di proporla e un Parlamento capace di approvarla. Senza, la Rai è destinata a rimanere imprigionata in un sistema autoreferenziale e fuori dal tempo. Costretta ad arrancare, piegata a logiche di bottega, e capace di offrire una pessima rappresentazione del servizio pubblico.
