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Quanto è green la rivoluzione fintech

fintech green

La pandemia ha accelerato la crescita di un settore che anche l’Onu considera un prezioso alleato per l’ambiente. Gli investitori premiano sempre più il rispetto dei criteri Esg, occorre però trovare un equilibrio tra libertà di innovare e regolamentazione. La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2021.

Quando, nel novembre 2018, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, decise di creare la ‘task force on digital financing of sustainable development goals’, lo fece proprio nella convinzione che il fintech potesse essere un prezioso alleato per gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu. Mai avrebbe potuto immaginare che, poco più di un anno dopo, una pandemia avrebbe stravolto il mondo, ma anche accelerato notevolmente un processo di cui in quel momento si intravedeva solo il potenziale.

Secondo un’analisi effettuata dal Centro per la finanza alternativa dell’Università di Cambridge, dalla World bank e dal World economic forum, già alla fine del 2020 tutto il comparto era cresciuto globalmente in media del 12% rispetto all’anno precedente, toccando picchi del 20% e 30% nei settori sicurezza, scambio dei dati, servizi di pagamento e servizi digitali per il risparmio. E per il 2021 sono attesi dati al rialzo altrettanto significativi.

Ma dalle aziende fintech ormai non ci si aspetta soltanto che mettano a disposizione nuove tecnologie (app, blockchain, intelligenza artificiale, big data) per accedere in maniera semplificata ai mercati finanziari, ai servizi bancari o assicurativi. Si chiede di adottare criteri di sostenibilità di natura ambientale, sociale e di governance (i cosiddetti Esg). E anche di più: si esige che siano parte integrante della rivoluzione. “Dal nostro osservatorio vedo evolvere le grandi aziende, le banche tradizionali e le assicurazioni, ma certamente il mondo del fintech e quello dell’insurtech hanno recepito più velocemente, considerando che si tratta di settori giovani, i macrotrend e il tema della sostenibilità a tutti i livelli”, spiega Diego Di Barletta, Head of B+C Executive.

Secondo i dati rilevati nel mondo dall’Osservatorio fintech e insurtech del Politecnico di Milano, le startup che si dichiarano attente alla sostenibilità raccolgono in media il 25% dei fondi in più rispetto a quelle che non lo fanno. “Mai come adesso – spiega ancora Di Barletta – si rileva un’attenzione così alta verso questi fattori da parte degli investitori e anche le generazioni più giovani sono sempre più interessate alle questioni ambientali”.

Non si tratta solo di carte di credito in materiale riciclato, screensaver per pos o attenzione al consumo energetico degli Atm. Laura Oliva, Ceo di eKuota, piattaforma web per la gestione dei rischi finanziari d’impresa, è convinta che la vera svolta sia generata dalla democratizzazione dei dati. “Il tema della sostenibilità va sicuramente a braccetto con il fintech in generale. In questo settore è molto più accessibile e facile capire, ad esempio, quali siano gli investimenti davvero green e quali no, sapere quali sono le aziende che hanno un prodotto più o meno rispondente ai requisiti di sostenibilità. Il fintech ha reso i dati chiave più accessibili, fruibili e trasparenti: una sorta di democratizzazione dell’accesso alle informazioni”.

Ma davvero il matrimonio tra finanza digitale e sostenibilità è così felice? Marco Berini, Ceo di Finleap, il principale fintech builder europeo, invita a un approccio che definisce “realista”. “Specialmente le aziende B2C – spiega – dimostrano spesso una sensibilità vera su questi temi, anche in virtù del fatto che il management è molto più giovane e sappiamo tutti che le nuove generazioni hanno il nervo scoperto sui temi sociali e ambientali, perciò tendono a essere più proattive in questo senso”, tuttavia “spesso sono motivi di mercato, di marketing, oppure benefici fiscali o commerciali a guidare le fintech verso azioni di sostenibilità”, spiega.

Ed è su questo confine tra scelta consapevole e mera operazione commerciale che si insinua il noto fenomeno del green washing. “Mi sembra che ci sia molta più consapevolezza da parte del mercato sul fatto che, spesso, questa pratica di ‘maquillage’ venga utilizzata in maniera subdola. Tuttavia, dall’altra parte, ci sono molte aziende che seguono pratiche precise per evitare questo rischio”, osserva Di Barletta, ovvero essere trasparenti, lavorare sulle best practice aziendali, informare il mercato su basi verificabili. Insomma, “non bisogna dare la sensazione di agire one shot, ma di saper portare avanti con continuità e resilienza il percorso che si è deciso di intraprendere”, ribadisce l’Head di B+C Executive.

Secondo Laura Oliva c’è anche una questione molto pratica che spinge verso la sostenibilità. “Gli investitori sono sempre più attenti ai temi Esg e le aziende, soprattutto quelle tecnologiche, per essere più attrattive devono farsi trovare pronte. Questa è la vera grande trasformazione epocale. Ed è solo all’inizio”. C’è poi un grande problema che certamente le singole aziende non possono affrontare da sole, ed è quello dell’impatto del consumo energetico dei data center. “C’è un tema legato all’ambiente e all’inquinamento in ambito bitcoin e criptovalute in generale, anche se non se ne parla molto perché non si può risolvere o quantomeno non spetta alle fintech, ma a chi gestisce l’hardware, che è ciò che consuma”, osserva Berini. Ma ci sono aziende come eKuota che hanno fatto una scelta ben precisa in questo senso. “Noi ci serviamo di data center green certificati. Il tema è ormai al centro dell’attenzione di tutti gli operatori: su questo stiamo lavorando molto. E così tanti altri. Non è vero che si tratta di temi sottovalutati”.

Tuttavia, c’è una grande domanda alla quale non è ancora stata data una risposta: può la rivoluzione fintech continuare il proprio viaggio verso la sostenibilità anche in presenza di controlli più stringenti, come accade per esempio per le banche o le assicurazioni tradizionali? Secondo il Ceo di Finleap “solitamente le fintech, specie quelle che hanno clienti finali nelle B2C, sviluppano prodotti innovativi che tendono a semplificare la user experience e forse, talvolta, percorrono strade un po’ borderline rispetto alla regolamentazione, assumendosi qualche rischio”.

Laura Oliva, invece, non ha dubbi. “Non esistono zone d’ombra. Non ho notizia di nessuna fintech italiana che si sia sviluppata al di fuori delle norme. È vero che, soprattutto le banche, hanno vincoli normativi e regolamentari molto impegnativi, tuttavia non è pensabile applicare quelle stesse norme alle nuove realtà fintech, più dinamiche e veloci per definizione. Le logiche e le necessità non sono quelle tradizionali”.

Per Diego Di Barletta è esattamente questo il punto su cui si giocano le sorti del connubio tra fintech ed Esg: “Questa è una frontiera di cui si sta iniziando a parlare, che si sta cercando di gestire provando a evitare che le regole diventino un freno a mano del cambiamento. Ma è proprio questo il tema del futuro: come riuscire a governare il fintech anche nei suoi obiettivi di sustainability senza però imbrigliarlo”.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di novembre 2021. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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