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Dimissioni, anche in Italia è l’anno della Great resignation?

grandi dimissioni lavoro

Dal 1 aprile al 10 novembre i dati del ministero del Lavoro sulle dimissioni segnano un +23,2% rispetto al 2019. C’è chi lo ritiene un normale balzo post pandemia e chi, invece, intravede una tendenza destinata a consolidarsi. Ma le differenze con il ‘big quit’ americano sono molte. Ecco cosa sta succedendo. La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di dicembre 2021.

 

È UNO DI QUEI CASI in cui la traduzione in italiano suona meno efficace dell’originale: great resignation, ovvero ‘grande dimissione’, termine coniato da Anthony Klotz, psicologo e docente all’Univeristà A&M del Texas. O se si preferisce big quit, il grande abbandono’. A metà di quest’anno negli Stati Uniti è diventato necessario dare un nome a un fenomeno dilagante: la crescita costante di chi ha deciso di lasciare il lavoro. Qualcosa di simile si è cominciato a verificare in Italia a partire dal secondo trimestre di quest’anno, quando si è registrato un +10% di dimissioni rispetto allo stesso periodo del 2019. Bisognerà trovare una definizione ad hoc anche per quello che sta accadendo nel nostro Paese? È da vedere. Perché ci sono alcuni dati, incontrovertibili, che però al momento lasciano aperte diverse – e spesso contraddittorie – spiegazioni.

Per cominciare a capirci qualcosa bisogna partire dalle differenze tra Italia e Usa. “Negli Stati Uniti si può essere licenziati o ci si può dimettere da un giorno all’altro. Storicamente c’è un turn over nelle aziende molto più consistente. E poi, mancano gli ammortizzatori sociali come li intendiamo noi”, spiega il giuslavorista Federico Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt. Secondo gli ultimi dati del Dipartimento del lavoro statunitense, a settembre è stato raggiunto il valore record di 4,4 milioni di americani che hanno lasciato volontariamente il proprio impiego, ad agosto erano stati 4,3. Ma è una tendenza che si registra stabilmente già da aprile. Inoltre, a luglio il numero di posizioni aperte toccava l’emblematica cifra di 10,9 milioni. Insomma, ce n’è abbastanza non solo per parlare di una tendenza, ma anche per capire chi coinvolge e perché. I numeri più consistenti riguardano il settore dei servizi di alloggio e ristorazione, poi quello del commercio sia al dettaglio che all’ingrosso, e di seguito sanità ed educazione. E al primo posto tra le motivazioni alla base della decisione viene indicato il burnout: inutile dire che la pandemia, che per 18 mesi ha costretto tutti a modificare le proprie abitudini di vita e di lavoro, venga considerato il fattore numero uno dietro la voglia di cambiamento.

INCURIOSITO DA QUELLO che stava accadendo in America, Francesco Armillei, assistente di ricerca presso la London school of economics e socio del think tank Tortuga, è stato tra i primi a domandarsi se qualcosa di simile stesse avvenendo anche in Italia. La sua analisi è stata riassunta in uno studio pubblicato su lavoce.info: se nei primi tre mesi di quest’anno non si segnalava nessun movimento significativo, nel secondo trimestre invece si è cominciato a registrare un cambio di tendenza con le dimissioni di circa 485 mila lavoratori e lavoratrici, ovvero 45mila in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Appunto, il 10%. “Il parallelo con gli Stati Uniti va preso giustamente con cautela: lì il mercato del lavoro è diverso, il fenomeno è cominciato prima, il tasso di dimissioni è molto più alto che da noi. Però penso sia incontrovertibile che qualcosa stia accadendo anche in Italia”, spiega.

Un report, fornito dal ministero del Lavoro, consente un’analisi su un periodo più lungo che va dal 1 aprile al 10 novembre. La tendenza viene decisamente confermata e rafforzata. Analizzando le dimissioni volontarie emerge che sono pari a 1.195.875 di cui oltre 760 mila riferite a uomini (63,8%) e circa 430mila a donne (36,2%). “Complessivamente si registra un aumento del 23,2% rispetto al medesimo periodo del 2019”.

 

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di dicembre 2021 – gennaio 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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