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Tim, la politica e l’interesse nazionale

Quando la politica si divide, e si scontra, sulle partite finanziarie fa spesso guai. E la vicenda Tim, da anni sotto i riflettori, non fa eccezione. Oggi c’è una situazione talmente fluida da autorizzare tutti a parlarne e a volte capita anche che lo si faccia solo appoggiandosi ad argomenti sviluppati ‘per sentito dire’.

La realtà però è più complessa della rappresentazione che se ne fa per interessi di parte. C’è un’offerta da valutare, quella del fondo americano Kkr, c’è la posizione del primo socio francese Vivendi da considerare, e c’è una compagnia da gestire, con la guida appena passata al Dg Pietro Labriola dopo che l’ex Ad Luigi Gubitosi ha rimesso le sue deleghe. Ci sono, poi, temi che dal punto di vista industriale e strategico richiamano l’interesse nazionale. Su tutti, quello della rete. E quindi c’è anche, e non potrebbe essere altrimenti, l’interlocuzione con il governo.

Per altro, la partita finanziaria e quella industriale sembrano strettamente intrecciate. L’ipotesi di uno scorporo dell’infrastruttura, con successiva fusione con Open Fiber, sotto la regia di Cassa depositi e prestiti, è tornata uno scenario plausibile. E se c’è un’indicazione che gli ultimi sviluppi sembrano suggerire è che le chances di vincere la partita finanziaria siano strettamente legate alla capacità di chiudere un accordo convincente con il governo sui futuri assetti societari.

In questo quadro, qui riassunto sommariamente, le voci della politica si rincorrono semplificando fino al punto di perdere di vista sia la realtà finanziaria sia quella industriale. Perché una cosa è l’interesse nazionale, che va difeso soprattutto in un settore strategico e sensibile come quello delle telecomunicazioni, un’altra cosa sono le speculazioni che prescindono da un fattore tutt’altro che secondario: il futuro di Tim, dei suoi lavoratori, del suo valore industriale e tecnologico. Gli interessi americani di Kkr e quelli francesi di Vivendi, prima ancora che americani e francesi andrebbero considerati per il valore delle proposte e per il contributo che possono dare al futuro della compagnia telefonica.

Una società quotata in Borsa, con il peso specifico di Tim, non può essere lasciata in balia delle polemiche, pure legittime, tra Letta, Calenda e Meloni o Salvini. L’orientamento politico e le scelte di Vincent Bollorè, il patron di Vivendi, oppure la potenziale ingerenza americana tramite Kkr, sono un tema che deve trovare argine nelle regole, che ci sono, e nelle scelte strategiche, che vanno compiute. Ma non possono paralizzare né il piano finanziario né quello industriale. La politica pensi all’interesse nazionale ma lasci lavorare anche il management, gli azionisti e il mercato.

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