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Ue, inflazione record. Ma i tassi non si alzano

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Ci indebitiamo a tassi bassissimi e quando la Banca Centrale Europea deciderà di alzarli non sarà più in grado di acquistare tutti i titoli pubblici che sta comprando oggi, immettendo sul mercato un’enorme quantità di denaro. Per ora l’Eurotower non cambierà rotta, almeno non nel corso del 2022, a differenza di quanto hanno deciso Federal Reserve e Bank of England, perché è convinta che l’inflazione sarà temporanea. Ma i dati che arrivano dall’Ufficio di statistica europeo (Eurostat) ci dicono che il trend del caro prezzi è ancora in salita: dall’inizio del calcolo della serie storica cominciato nel 1997, ovvero da 25 anni a questa parte, si è toccato un nuovo massimo: a dicembre si è registrato il picco del 5,3% (a novembre del 5,2%).

Se il balzo in avanti dei prezzi sia davvero provvisorio è difficile da dire e non sappiamo nemmeno quanto la Bce ne sia effettivamente convinta.

Piuttosto, quello che possiamo affermare è che mantenere bassi i tassi di interesse – da inizio pandemia sono fermi tra meno 0,50% e più 0,25% – aiuta i Paesi che hanno un elevato debito, generalmente in parte contratto con i cittadini e in parte con investitori privati.

L’Italia è uno di questi e peggio – quanto a rapporto debito-Pil – fa solo la Grecia, mentre Francia e Spagna viaggiano su cifre migliori. Se aumentasse perciò il costo del denaro salirebbe anche il costo del debito e Stati come il nostro si troverebbero ad affrontare un’ulteriore difficoltà per tamponare i costi della crisi e dell’emergenza sanitaria. Molti economisti e analisti sostengono che l’inflazione non diminuirà a breve e, anche qualora dovesse per un certo tempo fermarsi ai livelli attuali, sarebbe comunque oltre il tetto di guardia con ripercussioni pesanti su famiglie e imprese.

Il peso dell’energia

Connessa strettamente al fenomeno inflazionistico è la complessa situazione che riguarda le fonti energetiche. Il caro energia sta attanagliando l’economia globale stringendo in una morsa pericolosa chi non ha conquistato autonomia produttiva. I prezzi dell’energia corrono e incidono su quello generalizzato dei beni di consumo comportando una diminuzione del potere d’acquisto. Un’accelerazione della transizione energetica, con l’abbattimento in Ue del 55% dell’inquinamento entro il 2030 per poi arrivare alla neutralità climatica nel 2050, “ha prodotto come effetto il taglio degli investimenti nei sistemi energetici tradizionali. Il che ha portato a una bassa capacità produttiva e a una riduzione delle scorte”. Ergo: i prezzi sono saliti. Così la pensa Davide Tabarelli, professore di economia a Bologna e al Politecnico di Milano e presidente di Nomisma Energia.

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato che per cambiare la struttura energetica dell’Unione Europea servono “360 miliardi di investimenti ogni anno”. “Una cifra enorme”, ha detto, “ma lo sforzo è fattibile. L’obiettivo si può raggiungere se il settore privato farà la sua parte e per questo servono regole chiare. In questa direzione abbiamo per la prima volta una legge europea e dunque i target climatici non sono più un’ambizione ma un obbligo legale”.

La presidente è anche convinta che “l’odierna crisi del gas debba servire ad accelerare la transizione verso l’energia pulita” e “fornire lo slancio di cui abbiamo bisogno per integrare ulteriormente il nostro mercato energetico”. C’è però la consapevolezza che “non ci sarà un passaggio lineare da un sistema basato sui combustibili fossili al sistema di energia pulita”.

L’Ue, dunque, si trova in questo momento in mezzo al guado. Gran parte del Vecchio Continente dipende ancora dalle energie fossili, petrolio e gas in primis, e ci vorrà del tempo, oltre che un’ingente quantità di denaro, per completare il passaggio alle fonti rinnovabili. Questa, peraltro, è anche una fase in cui si assiste ad un’altalena del costo di alcune materie, lo stesso gas ad esempio, per via di una situazione geopolitica articolata e in continua evoluzione. Al record di prezzo registrato qualche settimana fa, nell’arco di pochi giorni ha fatto seguito un calo netto, dopo che il gruppo petrolchimico cinese Sinopec ha deciso di mettere a disposizione del mercato grandi forniture, che potrebbero aiutare l’Europa a far fronte al blocco di quelle provenienti dalla Russia. Il prezzo è sceso immediatamente nelle principali piazze di contrattazione europee, da Amsterdam a Londra.

Cosa significa? Potremmo dire che lo choc dei prezzi energetici fa parte anche di manovre e azioni politiche che condizionano il mercato fino a determinare metà dell’inflazione della zona euro. Questi sbalzi mettono a rischio la ripresa che già soffre di due incertezze ineluttabili: l’andamento della pandemia e (di conseguenza) l’eventualità che ci siano ulteriori chiusure delle attività.

Inoltre, a incidere sulla crescita c’è il già citato costo del denaro: tassi di interesse più alti frenerebbero gli investitori già indotti alla cautela dall’inflazione, che notoriamente favorisce non i creditori ma i debitori. Troppi, insomma, i rischi. E la Bce, l’Istituzione monetaria dei 19 Paesi dell’eurozona, il cui compito è assicurare la stabilità dei prezzi, non vuole correrli. Non per ora.

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