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Quirinale, Messori: I mercati punirebbero elezioni anticipate

La premessa è che qualsiasi opinione abbia sui nomi dei papabili al Quirinale che si rincorrono in questi giorni è quella di un cittadino qualsiasi e, in quanto tale, se la tiene per sé. Come professore del dipartimento di Economia e finanza della Luiss, però, Marcello Messori guarda alle elezioni per il prossimo capo dello Stato con un occhio ai mercati e l’altro al quadro macro, di cui l’Italia è solo un tassello.

Professore, questa è una elezione diversa da tutte le altre, a causa della pandemia ma anche della crisi economica che ha determinato. I partiti da settimane sono impegnati in trattative che per ora non hanno sbocco, nonostante il grande giorno si avvicini. Nonostante l’incertezza regni sovrana, però, i mercati non stanno mostrando alcun tipo di turbolenza. Come mai?

Io credo che, in questo momento, le valutazioni degli investitori non si concentrino sull’Italia ma su fattori internazionali. Il primo è la combinazione tra politiche monetarie e politiche fiscali che, negli Stati Uniti e in altre aree economicamente avanzate, sta cambiando a causa delle incombenti restrizioni monetarie e di ostacoli all’espansione fiscale. La situazione europea è diversa perché politiche monetarie e fiscali restano espansive. Il futuro economico dell’Unione europea dipende, però, dal successo dei Pnrr ed essendo il maggior beneficiario, l’Italia ha al riguardo una grande responsabilità. Se le scelte politico-istituzionali introducessero persistenti elementi di instabilità e di incertezza, allora gli investitori si concentrerebbero – e in senso negativo – sul nostro Paese.

Quindi questo vuol dire che, a prescindere da chi ci sarà a palazzo Chigi – dunque che ci resti o meno Mario Draghi – i mercati non guarderanno al nome del premier ma alla realizzazione degli obiettivi del Pnrr?

Non ho ruoli o competenze specifiche per partecipare al gioco dei risultati elettorali. Da economista, sottolineo che i partiti politici italiani dovrebbero gestire i fisiologici e benvenuti passaggi elettorali, condividendo due obiettivi di sistema. Il primo è di non creare instabilità perché questo complicherebbe una sfida già difficile da vincere: l’attuazione efficace del Pnrr. Il secondo obiettivo è di usare l’ingente disponibilità di risorse – europee e nazionali – per gettare le basi di uno sviluppo sostenibile che vada oltre la conclusione del Pnrr, ossia oltre il 2026. I due obiettivi sono ovviamente collegati. E’ però essenziale sottolineare che le transizioni ‘verde’ e digitale, lanciate dalla Ue, impongono cambiamenti nell’apparato produttivo e richiedono forme di inclusione sociale di lungo termine. Pertanto, l’Italia deve realizzare il Pnrr ma deve anche costruire un quadro istituzionale capace di gestire una trasformazione economico-sociale epocale. Il mio messaggio è, quindi, molto semplice: è corretto che fatti cruciali per la vita democratica, come l’elezione del capo dello Stato e quelle Politiche del 2023, suscitino confronti politici anche aspri, tali confronti dovrebbero però assumere come vincolo l’interesse futuro del Paese.

Quindi bisogna evitare che la partita del Quirinale porti a elezioni anticipate?

Il rischio di elezioni politiche nel 2022 introduce un’altra variabile importante. Come si è già accennato, l’anno in corso, come del resto il 2023, sarà decisivo per un’efficace attuazione del Pnrr. Infatti, per superare la storia non brillante nell’utilizzo delle risorse europee, l’Italia ha deciso di attenuare i suoi svariati colli di bottiglia anticipando nel Piano l’impostazione delle riforme rispetto alla realizzazione degli investimenti pubblici e al sostegno di quelli privati. Così, nel 2021 si sono impostate le linee generali di alcune riforme; tra il 2022 e il 2023 si tratta di tradurre i principi riformatori in iniziative effettive e di realizzare i progetti che comprendono investimenti pubblici e privati. Un governo, lacerato da conflitti così ingestibili da portare a elezioni anticipate, difficilmente potrebbe adempiere a questo compito di per sé sfidante. Pertanto, non mi resta che ribadire un punto: è necessario che il livello politico-istituzionale acquisisca piena consapevolezza della partita che l’Italia si sta giocando e che è appena agli inizi.

Anche se lei non vuole focalizzarsi sui nomi dei possibili presidenti della Repubblica che circolano, è noto l’effetto stabilizzante che Draghi ha avuto per il Paese agli occhi degli investitori internazionali. I mercati danno un peso anche al ruolo che in Italia ha il presidente della Repubblica o contano solo le politiche di governo?

La grande reputazione, di cui Draghi gode a livello internazionale, è un vantaggio importante per l’economia italiana. Pertanto è bene che il suo impegno istituzionale continui sia nel breve che nel lungo termine. In tale prospettiva, un ruolo di governo è più operativo ma ha un orizzonte temporale più limitato. La presidenza della Repubblica ha poteri propri di una democrazia parlamentare ma opera in un orizzonte lungo. In tale prospettiva, anche se non so rispondere al quesito da lei posto, rilevo un possibile ‘trade off’ che va superato. Si è detto che l’Italia deve realizzare aspetti essenziali del Pnrr nei prossimi trimestri, deve completarlo vincendo altre sfide difficili entro il 2026 e deve collocarsi su un sentiero di sviluppo sostenibile ben oltre quella data. Pertanto, anche se è banale, bisogna riconoscere che il nostro Paese ha bisogno di figure con alta reputazione sia per la guida del governo sia per la presidenza della Repubblica. Ambedue i ruoli sono importanti per garantire condizioni di stabilità di breve e di lungo termine. Non riesco a convincermi che questo ‘trade off’ sia senza soluzione.

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