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Ecco perché la sostenibilità è una cosa seria

‘Getting serious about sustainability’ è il primo incontro organizzato da Fortune Italia e Centro studi americani nell’ambito dell’iniziativa Italia-USA: Cultural Bridge, una iniziativa che si propone di guardare al futuro condividendo, attraverso dialogo e confronto, importanti temi di rilevanza globale.

Il dibattito ha l’intento di contribuire alla definizione degli estremi di un cambiamento in atto da lungo tempo, che ora necessita di una spinta consapevole per responsabilizzare governi, comparto produttivo e società civile. L’analisi degli aspetti più interessanti e meno noti della transizione ecologica, letta in chiave di sicurezza energetica, di geopolitica, diventano una guida ragionata con l’intento di rileggere le regole della fruizione energetica mondiale.

Sviluppo Sostenibile

L’agenda 2030 è stata sottoscritta da 193 paesi membri dell’Onu nel 2015, e a oggi registra un ritardo globale sul raggiungimento dei 17 obiettivi proposti.

Di questi, il settimo, che parla di Energia pulita ed accessibile, e il tredicesimo, che invoca la lotta al cambiamento climatico, sono quelli che citano esplicitamente l’energia, che è però sottesa a ogni logica di crescita e sviluppo, ed è alla base di tutti gli obbiettivi di sviluppo sostenibile, come fa notare Francesco La Camera, direttore generale dell’Irena, l’agenzia Onu per l’Energia.

Glasgow 2021 e la Coop26 hanno sancito il rinnovo degli impegni, da parte di governi e privati, a lavorare nella direzione concreta del cambiamento. Il viaggio è iniziato, e va nella giusta direzione, ma a una velocità che ci pone già in ritardo e potrebbe impedirci di risultare efficaci rispetto al processo di cambiamento avviato. Un dato pratico: il carbone e il gas dovrebbero essere eliminati entro il 2025, ma lo scorso anno la capacità installata delle rinnovabili si è fermata al 30%, sancendo il grande ritardo sulla tabella di marcia verso la svolta sostenibile della produzione energetica.

Per rispettare il concetto esteso di sostenibilità, l’energia dovrebbe essere accessibile per tutti, ma ci sono milioni di abitanti dell’Africa che ne sono completamente privi, e sono oltre un miliardo nel mondo a non avere “energie cooking”.

Meno ci si impegna sulla scala del cambiamento, più sarà irrealistico immaginare di contenere le temperature ed arginare il “climate change”, con delle ricadute importanti anche sui sistemi produttivi mondiali.

Produzione di energia

Parlando di fabbisogno energetico, la sola Italia necessità di circa 56GW annui, con punte di 75GW, e questo è un gap che non potrà essere colmato in tempi brevi. Abbiamo inoltre un’economia con un tasso di circolarità dell’8%, il che significa che sprechiamo le materie da cui dipendiamo, inquinando. Con la pandemia c’è stato poi un impatto sulla catena di offerta energetica, che ha visto soffrire meno le rinnovabili, che dipendono da fattori naturali, sole, acqua, vento. Ma questo non ha dato sollievo al comparto, per via dei livelli di produzione ancora molto bassi. L’elettricità rappresenta il 30% dell’energia utilizzata, e i carburanti fossili hanno il vantaggio di mantenere un’alta intensità energetica, a differenza delle rinnovabili, che registrano anche il problema della variabilità dell’intermittenza. Quest’ultimo potrebbe essere risolto con lo stoccaggio, che però ha ancora dei costi elevati, o con le reti super critiche, di cui esiste anche un brevetto europeo, che sono in fase di sviluppo e potrebbero consentire di portare l’energia dove serve e quando serve, a prescindere da quando viene prodotta. In Germania, secondo l’esempio portato da Arvea Marieni di Brainscapital, su una stima di settemila km di reti utili a collegare le zone di produzione dell’energia verde alla zona di utilizzo, nella RHUR, ne sono stati costruiti solo mille e cinquecento, a causa proprio di non coerenti tempistiche di investimento e scarsa sensibilità delle popolazioni su cui l’impianto andava ad impattare.

Digital divide

La tecnologia riveste un ruolo determinante ma sotteso, nel contesto dell’approccio sostenibile alla produzione, che l’ha sempre considerata al pari di un semplice strumento. È tempo di cambiare prospettiva e cominciare a parlare di cultura della trasformazione innescata “dal tech”, che consenta alle aziende di restare al passo sul trend dell’innovazione. La tecnologia, oggi, ridisegna i contesti e porta avanti l’evoluzione dei processi, ma deve farsi sostenibile nel non trascurare ed escludere nessuno. Per Maximo Ibarra, Ad del Gruppo Engineering, è necessario lavorare alla creazione di un “digital trust”, per facilitare la comprensione, l’adozione della tecnologia da parte di tutti i cittadini. In Italia solo il 42% fra i 16 ed i 62 anni possiede competenze digitali, contro l’indice europeo del 60%. La produzione dei “data”, inoltre, si è attestata a 90 zbit nel 2021/22, ed è destinata a triplicare entro il 2026. Questo consentirà di sviluppare in maniera più sofisticata l’intelligenza artificiale, in termini di ulteriore sviluppo di tecnologie blockchain, ma anche di creazione di maggiori servizi ad alta ricaduta sociale. La tecnologia deve diventare più sostenibile, e va quindi inserita in un quadro valoriale che porti vantaggi alle persone e sia efficace anche in termini di transizione ecologica.

L’Africa e la Cina

Due nazioni strategiche, per motivi diversi, ma entrambe essenziali ai fini della sostenibilità.

Il Nordafrica potrebbe diventare una miniera solare, come dichiarato da John Kerry, evidenziando il potenziale rappresentato dalle rinnovabili per sostenere lo sviluppo di quei paesi che hanno bisogno di un percorso di crescita sicuro.

In Africa si pone anche un tema di sostenibilità sociale, non intesa in termini di filantropia ma di diritti, come ricordato da Martina Rogato, Co chair Clima Women7 (G7). Se l’utilizzo di energie viene approvvigionato da paesi che hanno problemi di conflitto, non si può parlare di “sostenibilità”. E in questa direzione va la discussione di una nuova direttiva Europea atta ad introdurre la “diligenza ambientale” per tutte le aziende, sancendo un passaggio interessante da “hard low” a “soft low”.

La Cina, dal canto suo, è la nazione più inquinante del pianeta, la più recalcitrante rispetto agli impegni ambientali, ma a sorpresa è quella da cui potremmo dover importare energia pulita nel prossimo futuro. Il mondo occidentale ha progettato le tecnologie che la Cina poi, grazie alla sua capacità di produzione su larga scala, ha sviluppato registrando un abbattimento dei costi pari al -85% negli ultimi dieci anni, con un conseguente upgrade delle tecnologie rinnovabili, altrimenti difficile da realizzare in tempi così stretti.

‘Getting seriuos about sustainability’ ha inaugurato un ciclo di appuntamenti che, nel corso di tutto il 2022, costituirà il percorso di avvicinamento al V Forum Sostenibilità, l’appuntamento annuale di Fortune Italia che vede il coinvolgimento attivo del mondo delle imprese, delle istituzioni e della società civile in uno spazio di discussione partecipata, autorevole ed indipendente sui temi portanti dello sviluppo responsabile e sostenibile dell’economia.

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