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Lobbying, la nuova legge è incompleta

montecitorio camera

Credo che da sempre uno dei più grandi problemi dell’attività di lobbying in Italia sia la sua mancanza di regolamentazione, la quale – troppo spesso – ha lasciato spazio a interpretazioni errate o peggio caratterizzate da connotati negativi per l’intera categoria. Ma il problema non è quello che il lettore sarà portato a pensare: non è la professione in sé, ovviamente.

Il problema è la discussione pubblica nel nostro paese sull’attività lobbistica che, partendo da premesse incomplete, giunge a conclusioni fuorvianti. Proprio per questo, contrariamente a ciò che si pensa, la maggior parte di chi svolge l’attività di lobbying sarebbe ben lieto di osservare come la propria professione sia destinataria di una legge che regolamenti la materia.

Intendiamoci, non ci sarebbe bisogno di fantomatici esami da superare, patenti da lobbista doc o di un ennesimo inutile ordine a cui iscriversi. Basterebbe, come succede in altre parti del mondo, un po’ di serietà e di acume nel disciplinare questa importante attività.

Dopo 96 progetti di legge caduti nel vuoto, dal Parlamento è arrivato il primo sì a un nuovo testo sulle lobby, che ora passa in Senato. Ma perché ci sia un vero cambio di passo ci sono alcuni aspetti da cambiare poiché l’attuale legge include alcune criticità, due di base.

Ma andiamo con ordine. In principio erano tre le proposte di legge provenienti da Italia Viva, Pd e M5S. Uno snervante lavoro di scontri, mediazioni e discussioni alla fine si è tradotto in una proposta condivisa, che ha l’obiettivo di arrivare ad un’approvazione definitiva prima della fine della legislatura del 2023. Visto il lungo iter non è detto che ci riesca.

Come è noto il testo approvato dalla Camera dei deputati prevede diverse novità. Quella principale è l’obbligo di iscrizione a un registro per la trasparenza dell’attività di relazione per la rappresentanza di interessi, elenco istituto presso l’Agcom. Tuttavia, alcune figure non potranno entrare a far parte dell’elenco, dunque saranno escluse dall’attività di lobbying. Tra questi, comprensibilmente, i decisori pubblici nel corso del loro mandato.

Altra innovazione riguarda la creazione di un’agenda degli incontri tra i rappresentanti di interessi e i decisori pubblici, sulla falsa riga di quello che avviene già a Bruxelles con il Registro per la Trasparenza voluto dalla Commissione Europea.

Ora il testo approvato alla Camera ha il merito di aver contributo a fare chiarezza sull’attività di lobbying, concorrendo a riconoscere un ruolo ufficiale ai portatori di interessi quali attori che contribuiscono a informare e a orientare le scelte dei decisori pubblici. Altro aspetto positivo, le istituzioni saranno tenute a consultare i portatori di interessi in vista di nuove iniziative normative e regolatorie, ampliando quindi la platea di consultazioni con organismi terzi in merito ad alcune leggi in cantiere. È di tutta evidenza come quest’ultima novità rappresenti un aumento della pluralità dei soggetti coinvolti e quindi, di per sé, un aspetto lodevole.

Ma ci sono due errori macroscopici da correggere. Il primo è quello di aver ufficialmente certificato “urbi et orbi” che esistono interessi di livello superiore rispetto ad altri: va in questa direzione l’esclusione dall’iscrizione al registro, ad esempio, di Confindustria e dei sindacati. Le nuove disposizioni, infatti, non si applicheranno all’attività di rappresentanza di interessi particolari svolta da: enti pubblici (anche territoriali), associazioni, partiti, movimenti politici, organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Non si capisce bene la logica di questa esclusione. Esistono forse interessi di serie A e interessi di serie B?

Un altro problema riguarda il lasso di tempo (12 mesi) che secondo la normativa intercorrerebbe tra la cessazione di un mandato da decisore pubblico e la possibilità di agire privatamente in un gruppo di interesse. La scelta di un anno appare un periodo troppo breve per evitare equivoci tra chi ha gestito prima dossier complessi, come stakeholder pubblico, e dopo pochi mesi può abilmente rappresentare interessi di parte a favore di privati. All’estero generalmente questo periodo (chiamato di ‘raffreddamento’) si attesta su circa 24-36 mesi.

In conclusione, finalmente l’attività di lobbying sta diventando sempre più centrale in Italia nella definizione delle strategie degli interessi organizzati (imprese, associazioni di categoria, ordini professionali, ecc.). Consuetudine invece molto più radicata nel tempo all’interno del mondo anglosassone.

Tuttavia, se l’obiettivo di questa legge è quello di migliorare la trasparenza, la fiducia nelle istituzioni e la partecipazione di interessi privati ​​nella formulazione delle politiche pubbliche, allora è necessario che i requisiti di trasparenza si applichino in modo serio ed equivalente.

Ciò potrà avvenire modificando le criticità sottolineate tempestivamente non solo dai professionisti del settore, ma anche dalla comunità accademica specializzata in materia di lobbying e politiche pubbliche.

D’altra parte, parliamo di un comparto di attività, quello del lobbying, che nel 2020 (anno nero per l’economia italiana, con PIL in caduta libera) è stato l’unico in controtendenza nel settore della comunicazione. Questo a testimonianza di come ogni qual volta si verificano problematiche all’interno di un sistema politico e sociale si assiste alla proliferazione delle azioni consapevolmente organizzate da parte dei gruppi d’interesse. E, di conseguenza, all’aumento dell’attività e dell’intensità del lobbying. Ben venga quindi una seria e completa regolamentazione.

 

Marcello Presicci è giornalista professionista, docente di lobbying alla Luiss Business School e ‘Senior Advisor’ di multinazionali americane che si occupano di lobbying e advocacy.

 

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