NF24
Cerca
Close this search box.

Di Giorgio (Luiss): Dalla Bce possibile rialzo dei tassi a fine 2022

La decisione della Banca centrale europea di rallentare la velocità dei suoi interventi arriva in un momento in cui l’economia mondiale subisce gli effetti della drammatica guerra in Ucraina. I risvolti del conflitto e delle sanzioni alla Russia saranno molteplici e la ripresa post-pandemica, secondo le stime dei maggiori istituti internazionali e della stessa Bce, subirà una brusca frenata. L’entità dipenderà dalla durata dell’offensiva di Mosca e delle operazioni belliche. La riduzione del quantitative easing e della liquidità iniettata nell’economia non è stata accolta con ottimismo dai mercati, che probabilmente non si aspettavano che la decisone di Francoforte fosse presa proprio adesso. Ma l’inflazione, trainata in Europa dal caro energia, morde la ripresa. L’aumento generalizzato dei prezzi e la relativa diminuzione del potere di acquisto del denaro, associati a una brusco rallentamento del Pil, aumentano i rischi di destabilizzazione del sistema economico e monetario. E nella zona euro si potrebbe creare un ulteriore squilibrio tra domanda e offerta che amplificherebbe il balzo inflazionistico.

Il professore Giorgio Di Giorgio, titolare della cattedra di Teoria e politica monetaria all’Università Luiss Guido Carli di Roma, prorettore Organizzazione e faculty dal 2018 al 2021, tiene a sottolineare che il “primo obiettivo della Bce è mantenere l’inflazione sotto controllo. In assenza di una riduzione degli stimoli questo non potrebbe essere garantito”. Quanto a un rialzo già quest’anno dei tassi di interesse non esclude che l’istituto guidato da Christine Lagarde anticipi il passo: “E’ possibile nell’ultimo trimestre. Ma dipenderà dall’evoluzione dei prossimi mesi”.

Professore, la Bce va verso la normalizzazione della politica monetaria. E’ stata confermata la chiusura del programma straordinario Pepp per fine marzo, mentre la riduzione degli acquisti di titoli previsti dal programma ordinario App potrebbe partire già dal terzo trimestre di quest’anno. La prima reazione dei mercati non è stata affatto positiva.

La chiusura del Pepp era in realtà già stata annunciata, ma era stata accompagnata da un potenziamento del programma standard di acquisti di titoli (l’APP) nei due trimestri successivi. Direi che la reazione negativa dei mercati è dovuta soprattutto alla notizia che forse la seconda parte di questo piano potrebbe non essere così lunga. Il tutto in un contesto di elevata incertezza dovuto all’evoluzione alquanto problematica del conflitto in Ucraina.

La volatilità delle Borse non impensierisce Francoforte.

Questo non è necessariamente un male. Abbiamo vissuto anni di mercati abbastanza ‘drogati’ dalle forti espansioni monetarie, si può dire che l’unica inflazione che abbiamo avuto fino a metà 2021 sia stata nel mercato delle attività finanziarie. Le Banche centrali devono, ovviamente, salvaguardare la stabilità finanziaria, ma definire chiaramente cosa si intende con questo termine non è banale. Devono sicuramente intervenire se manca la liquidità o se si interrompono i meccanismi fondamentali di funzionamento del sistema finanziario, ma non per stabilizzare semplici fluttuazioni giornaliere.

La stretta annunciata sulle iniezioni di liquidità potrebbe essere il preludio a un rialzo dei tassi già quest’anno?

E’ possibile, ma dipenderà dall’evoluzione dei prossimi mesi. Le decisioni delle banche centrali sono guidate dai dati e dalle previsioni sugli andamenti futuri di prezzi, attività economica e occupazione. Fino a qualche mese fa, l’intenzione era di attendere il 2023 per una normalizzazione dei tassi a breve, ma i dati sull’inflazione non consentono di escludere che si debba anticipare all’ultimo trimestre del 2022. Dipenderà da come evolverà il conflitto e dagli effetti cumulativi delle azioni da questo attivate, come sanzioni e restrizioni agli scambi commerciali e alle transazioni energetiche e finanziare.

La decisione del board di Eurotower di andare verso una fine degli stimoli monetari è stata vista come una vittoria dei ‘falchi’. Che starebbero spingendo affinché questa volta siano le istituzioni politiche nazionali e di Bruxelles a farsi carico degli stimoli e degli aiuti all’economia. E’ così?

Il primo obiettivo della Bce è di mantenere l’inflazione sotto controllo. In assenza di una riduzione degli stimoli, questo non potrebbe essere garantito. Ma è necessaria prudenza e gradualità, perché esistono anche rischi di effetti negativi sull’economia europea indotti dal conflitto in Ucraina, dalle tensioni geopolitiche e dal generalizzato calo di fiducia tra gli agenti. Per molto tempo, nell’Eurozona, la politica monetaria è stato l’unico strumento a disposizione. L’adozione del Next Generation EU e la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita a seguito della pandemia hanno tuttavia modificato in modo rilevante il quadro, ed oggi la politica fiscale, comune e domestica, ha sicuramente più spazio di azione.

Dopo la crisi pandemica la guerra russo-ucraina rappresenta un nuovo, fortissimo choc per il Vecchio Continente e non solo. La presidente Christine Lagarde ha parlato di “spartiacque per l’Europa”. La fase che viviamo è di grandissima incertezza.

E’ così, tutti si chiedono se la diplomazia e l’adozione di sanzioni severe saranno strumenti sufficienti per il cessate il fuoco. L’assenza in Europa di una difesa comune espone il Vecchio Continente al rischio di una eccessiva dipendenza dagli USA. In questo scenario rallentano gli investimenti e gli scambi commerciali internazionali, due drivers fondamentali della crescita economica.

Oggi siamo in un quadro di maggiore inflazione e minore crescita. Secondo le stime i prezzi schizzeranno nel 2022 al 4,1 % e al 7,1% nella peggiore delle ipotesi, ovvero se la guerra dovesse protrarsi. Cosa preoccupa di più la Bce: la guerra o l’inflazione?

La Bce, per mandato, deve preoccuparsi dell’inflazione. Questo prescinde dall’ansia che, individualmente, chi ci lavora può provare, come ogni altro cittadino europeo, di fronte ad un conflitto drammatico, alla violenza cui assistiamo, alla perdita di vite e alla distruzione sistematica di città, progetti, sogni.

Il 15 e il 16 marzo tocca alla Federal Reserve annunciare le sue decisioni. Oltreoceano hanno un’inflazione più alta che in Europa ma di natura diversa. La corsa dei prezzi in Usa è dovuta a un aumento della domanda, da noi dipende principalmente dalla crisi delle materie prime e dai rincari energetici.

La dinamica dei prezzi negli Usa è più vivace e diversa da quella in Europa, è vero, ma alcune delle cause dell’inflazione sono le medesime in entrambe le aree, in particolare l’enorme e prolungata crescita della liquidità e le strozzature nelle catene logistiche di materie prime e prodotti intermedi. E non si può dire che, nel 2021, siano mancati stimoli fiscali anche nell’Eurozona, seppure pari a meno di un terzo rispetto a quelli messi in campo negli USA.

Le conseguenze del conflitto e delle sanzioni si stanno ancora dispiegando. Possiamo affermare che stiamo entrando in un’economia di guerra?

Eviterei allarmismi eccessivi, ma sicuramente i governi nazionali iniziano a studiare provvedimenti a garanzia, per quanto possibile, delle cittadinanze. Non c’è dubbio che se il conflitto dovesse durare a lungo o degenerare, questo scenario diventerebbe più plausibile. Ma l’Unione Europea non è in guerra, almeno oggi.

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.