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Più vicina la scelta per il Deposito nazionale rifiuti radioattivi

Oggi è l’ultimo giorno utile entro il quale la Sogin, la società dello Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, dovrà presentare al ministero della Transizione ecologica la Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) a ospitare il futuro Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il relativo Parco tecnologico, per un totale di 150 ettari e un investimento di 900 milioni di euro.

Un processo che ha accumulato numerosi ritardi negli anni e che avrebbe dovuto concludersi entro il 2015 come previsto dalla direttiva Euratom del 2011. Negli ultimi mesi Sogin ha spinto sull’acceleratore e, dopo aver ascoltato e raccolto indicazioni, osservazioni, critiche e suggerimenti da 332 soggetti (istituzioni, associazioni, comitati, imprese, professionisti e cittadini), sta ultimando i contenuti della Cnai. La realizzazione del Deposito nazionale dovrà verosimilmente concludersi nel 2025/2026, complice anche il rientro in Italia di rifiuti inviati negli anni in Francia e Gran Bretagna. Un processo che permetterà al nostro Paese di rimettersi in linea con altri Stati europei che sul proprio territorio hanno già depositi analoghi, rispettando così la normativa e gli impegni assunti con l’Unione europea. Basti pensare che Italia e Grecia sono gli unici paesi europei a non avere un deposito, mentre – ad esempio – la Norvegia ne possiede 2 pur non avendo sul suo suolo alcuna centrale nucleare.

I dati raccolti da Sogin saranno, quindi, esaminati dal Mite che, insieme all’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare), terminerà l’iter per la localizzazione dei siti potenziali. Le aree potenzialmente idonee che sono state individuate sino ad oggi sono 67, un dato che, dopo aver suscitato numerose contestazioni da associazioni ambientaliste e i comuni che dovrebbero essere coinvolti, verrà ulteriormente ridotto nella Cnai.

Il deposito nazionale dovrà ospitare principalmente 78mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività (che richiedono 300 anni per far decadere la radioattività) ma, almeno temporaneamente, accoglierà anche poco meno di 17mila metri cubi di rifiuti a media e alta attività che dovranno essere poi allocati in un deposito geologico. Un lavoro, dunque, non solo urgente ma anche di una certa complessità. Non bisogna, infatti, sottovalutare il fatto che stanno arrivando a definizione tutte le operazioni dello spegnimento delle centrali nucleari presenti sul suolo italiano.

Se da un lato la crisi energetica morde i mercati, le imprese e le famiglie, con tutte le aggravanti innescate dal conflitto russo-ucraino, dall’altro il tema del nucleare e dello smantellamento delle centrali è tornato al centro del dibattito. Nel 2021 Sogin ha fatto sapere di aver chiuso con una previsione di avanzamento fisico delle attività di decommissioning degli impianti nucleari, grazie a un lavoro di efficientamento dei processi e delle azioni di risanamento intraprese, pari al 7,2%, ben oltre l’obiettivo di budget fissato inizialmente al 6,6%. In particolare, avanzano a grande velocità le attività di smantellamento del nocciolo del reattore della centrale nucleare del Garigliano, una delle più complesse portate avanti fino a oggi dalla società. A fine 2021è stata, poi, completata la fase 1 del Piano globale di disattivazione dell’impianto di Bosco Marengo oltre allo smantellamento delle 56 scatole a guanti (SaG) dell’Impianto Plutonio del sito di Casaccia.

Il processo, dunque, sembra aver preso il giusto binario. Resta aperto il dibattito sulle implicazioni ambientali che sarà affrontato nuovamente quando verranno resi noti i siti idonei. Allora sarà auspicabile trovare il più ampio consenso, anche alla luce del fatto che i comuni potranno presentare un’autocandidatura per ospitare il sito, e chiudere il vecchio capitolo nucleare per come lo abbiamo sempre conosciuto, a 35 anni dal referendum e il successivo stop delle centrali.

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