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Se il teatro sposa la tecnologia, due chiacchiere con Omar Rashid

Metti una sera a teatro, sei seduto fra il pubblico e scopri di essere uno dei personaggi. Merito della virtual reality, di un regista, Omar Rashid e di un attore, Elio Germano. Così è (o mi pare) è l’opera ispirata a Pirandello che la sceneggiatura firmata da Germano ha trasformato in una esperienza immersiva.

La fruizione delle varie forme d’arte sembra destinata a essere sempre più orientata verso la VR, visti anche i dati di diffusione e la crescita esponenziale del mercato, che in Italia ha registrato una crescita del 161% fra il 2020 ed il 2021, secondo Statista, contro il 285% a livello mondiale. Un trend di crescita stimato di 80 miliardi entro il 2025.

Omar Rashid si definisce 50% iracheno, 50% calabrese e 100% fiorentino, ed è di fatto l’unico regista italiano a sperimentare il linguaggio creativo della virtual reality. In Italia è il promotore di un progetto sperimentale.

Qual è lo stato dell’arte a livello internazionale?

Fuori dall’Italia le velocità di crescita della VR sono diverse. Prima della pandemia sono stato in Cina, invitato al World Meeting su Virtual Reality e 5G. Dall’Italia eravamo solo in cinque e come regia e video c’ero solo io, gli altri erano esperti di gaming, linguaggio che al momento non mi interessa. La città era Nanchang, e disponeva di uno spazio di fruizione gratuita di VR. Ma anche in Inghilterra sono più avanti, c’è una sezione del ministero della cultura dedicato all’immersività, e anche la BBC ha un canale dedicato. Non è semplice capire che direzione prenderà l’Italia, che deve comunque recuperare un grande ritardo.

Cita i Fratelli Lumieres e l’illusionista George Melies come sue fonti di ispirazione.

L’approccio sperimentale che hanno avuto loro rispetto a un nuovo linguaggio è quello in cui mi rivedo. Cerco di capire cosa davvero si possa fare con questa nuova tecnologia che ti permette di essere all’interno di un contenuto, per fruire qualcosa di lontano e inaccessibile, e mi accorgo che siamo ancora al livello zero di progettazione. Melies era invece un illusionista, ha studiato le possibilità concesse da questo tipo di linguaggio, il taglio invisibile, tutti stanno immobili, si riparte e si crea l’effetto magico che lui riprendeva dal suo percorso da illusionista. Nel caso del 360 questo si applica nel “taglio invisibile”, una tecnica che mi permette, da regista, di ricreare quell’effetto magico che è il punto fondamentale della VR, ti offre un punto di vista inedito da qualunque altro medium. Il 360 fruito al PC o col visore è completamente diverso.

C’è una barriera d’ingresso economica rispetto all’avvio di una attività di produzione di video a 360°?

Per una produzione che punti a un prodotto di ‘costruzione digitale’, i prezzi non sono proibitivi. Un visore al momento lo compri con 300 euro, una telecamera con meno di 1000 euro, l’editing è difficile da considerare come costo, e si tratta comunque dell’uso di programmi tradizionali. Un film ora lo posso fare con il cellulare, un film in realtà virtuale lo posso fare con poche migliaia di euro. Tutti i lavori che abbiamo fatto non hanno grandi budget. È la scrittura che fa la differenza. La parte documentaristica, che è quella più immediata, non ci vuole molto per realizzarla.

Il connubio vincente sì è rivelato quello con Elio Germano, come ha capito che lui era quello giusto da coinvolgere in questo progetto?

Elio, più che quello giusto è un amico, lo conoscevo per il mondo legato allo ‘street-art’, mi è sembrato naturale parlargliene, e si è appassionato subito. È animato non solo dall’entusiasmo di voler conoscere un nuovo mezzo, ma anche dalla volontà di sperimentare, grazie a una intelligenza emotiva straordinaria.

Fra le regole che sta elaborando, rispetto a questo nuovo linguaggio, c’è quella che norma e guida l’emozione dello spettatore.

È la scrittura che fa la differenza, la ripresa è l’aspetto più semplice. Sono stato in Islanda e ho fatto un lavoro su un vulcano, (https://www.youtube.com/watch?v=D1_iBIWR364&t=5s) e la ripresa dell’eruzione poteva essere più che sufficiente, era spettacolare, ma così l’esperienza sarebbe finita in due minuti. Penso che la strada sia quella di trovare una chiave di narrazione, è questo che valorizza l’aspetto artistico dell’esperienza. Guidare lo spettatore emotivamente, in ambito artistico, è stato l’input della produzione del video ambientato a Firenze. (https://www.youtube.com/watch?v=D1_iBIWR364&t=5s).

È di fatto un tour della città, valorizzato dall’aspetto narrativo. Questa è la chiave del linguaggio VR, puoi lavorare su diversi livelli. Quello visivo e immersivo è solo il primo. Sul lavoro che abbiamo realizzato durante la pandemia, con le città vuote, abbiamo pensato di aggiungere delle poesie, che ho fatto realizzare ad hoc. Non tutti le hanno notate, molti non ascoltano, ma c’è chi invece sì è concentrato principalmente sulle poesie. (https://www.rai.it/raicinema/video/2020/11/Lockdown-2020—LItalia-invisibile-5956ec57-310b-4b85-9ff9-ff4e016ae6e7.html)

Molti studi sono stati condotti nella direzione di proporre la ‘multiple choice’ gestita dall’utente, rispetto alla trama e al finale.

La Multiple Choice è ancora lontana dal diventare un’opzione praticabile. È stata sperimentata, ma si è scoperto che non funziona. L’esperimento migliore credo sia stato condotto dalla serie Neftlix Black Mirror, che nell’episodio Striking Vipers propone quella che a me è sembrata una critica mascherata alla multiple choice, ovvero viene proposta come opzione, ma poi il fruitore si rende conto che non ne vale la pena, realizzata in quel modo lì.

La VR consente di sperimentare esperienze, di visitare luoghi lontani, o non accessibili.

Visto quello che sta accadendo nel mondo reale, fra pandemia e guerra, al momento la virtual reality rappresenta forse un mondo più bello con cui interfacciarsi. Stiamo vivendo un grande momento di crisi, e credo che sia una fonte di stimolo incredibile. Durante i Lockdown ho sentito l’esigenza di documentare. Mi sono reso conto di quanto sia stato importante farlo. È un lavoro che racconta città deserte, vuote, e c’è molta resistenza nel pubblico a volerlo vedere. Penso che realmente questi prodotti, li capiremo fra qualche anno, ora c’è la voglia di non vedere, anche di dimenticare.

In molti hanno scoperto il suo lavoro andando a teatro, a vedere Così è (o mi pare). In cosa questa produzione si differenzia dai documentari che ha girato in precedenza?

È stato inizialmente difficile far capire agli attori che guardare in macchina avrebbe coinvolto lo spettatore. Anche Elio che conosceva meglio lo strumento della realtà virtuale e che aveva scritto la sceneggiatura, di fatto era la prima volta che faceva recitava dovendo coinvolgere uno spettatore personaggio. E l’idea è stata proprio la sua, io l’ho seguito sull’aspetto tecnico. Tante volte avevamo parlato di adattare un testo classico, e il tema della meta-narratività ha guidato la scelta verso Pirandello, le sue maschere sociali, e le multiple choice narrative offerte dall’opera Così è, se vi pare. L’idea di portare lo spettatore ad essere un personaggio è davvero la prima che ti viene in mente.

I primi video che abbiamo visto in realtà virtuale erano dei porno. Pornografy drive tecnology , si dice, e nel porno sei in soggettiva, sei sempre qualcun altro, e quello è stata per noi la chiave per superare il vincolo dello spettatore e trasformarlo in un personaggio. Il segreto era quello di far parlare gli altri personaggi con lo spettatore, per portarlo attivamente nella narrazione.

https://youtu.be/zzugWUn2Q6k

Quali sono i suoi progetti futuri?

In cantiere ci sono tante idee. Ora stiamo concludendo un altro lungo-metraggio, una trasposizione da opera teatrale originale, Sognando la Kamchatka, di Corrado Accordino, Massimiliano Loizzi e Marco Ripoldi. L’opera ha avuto la sfortuna di esordire in teatro ad una settimana dal primo lockdown. È la storia di una partita di Risiko a casa di un amico, durante la partita emergono caratteri e conflitti. In questo caso lo spettatore interpreterà il flusso di coscienza, ovvero quando i personaggi pensano qualcosa, di fatto la dicono in macchina, e il resto della scena si blocca.

E a quanti pensano che queste esperienze VR porteranno alla chiusura dei teatri, voglio rispondere con l’altro progetto, questa volta di natura imprenditoriale, a cui stiamo lavorando. Stiamo provando ad aprire delle salette di fruizione della VR. Sul sito Salettevr.it sono già state mappate quelle già esistenti, noi puntiamo ad aprirne delle nuove, che diventino spazi permanenti di fruizione dei contenuti di realtà virtuale. Noi vogliamo che questo tipo di esperienza sia collettiva, sociale. Non spegnerà i televisori, ma porterà a delle esperienze più reali.

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