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Iot e brevetti essenziali, una sfida che ha bisogno di regole

Un tema forse poco conosciuto, che sino a poco tempo fa toccava solo le aziende tecnologiche, che ora solo in Italia rappresenta una torta da sei miliardi di euro. Il boom dell’Internet of Things apre la questione dei brevetti essenziali. Ovvero, gli Standard essential patient (SEP), brevetti che proteggono tecnologie – appunto essenziali – per l’implementazione di standard riconosciuti da organismi di normazione. Sono già un pezzo necessario della nostra vita quotidiana: questi brevetti sono utilizzati  per effettuare chiamate con lo smartphone, per inviare messaggi, allegare file alle mail, oppure ascoltare brani sulle piattaforme di streaming.

Perchè è essenziale

Un brevetto è definito essenziale dopo l’autodichiarazione del titolare, secondo cui quel brevetto è appunto essenziale per l’applicazione di uno standard. Con quella dichiarazione, il titolare si rende disponibile a concederlo in licenza a chi vuole utilizzarlo a condizioni Fair reasonable and non-discriminatory (Frand), ovvero a condizioni di licenza eque, ragionevoli e non discriminatorie. L’accelerazione dell’Internet of Things però impone un passo in avanti, soprattutto per le aziende.

“Proprio qui si concretizza il problema per le imprese – spiega l’avvocato Lorenzo Battarino dello studio legale Trevisan & Cuonzo, che ha redatto uno studio sulla questione dei brevetti essenziali – perché possono verificarsi nel futuro a breve termine delle distorsioni del mercato e un potenziale abuso dei titolari dei brevetti, che tenteranno di vincolare tutti gli operatori di un determinato settore al suo utilizzo mediante pagamento di una royalty, il cui costo può essere alto e non preventivabile in anticipo. Ed è alto il rischio, in assenza di un inquadramento normativo, di contenziosi legali tra titolari dei brevetti e le stesse imprese”.

Nella pratica quotidiana – è uno dei passaggi del report dell’ufficio legale Trevisan & Cuonzo – accade che il titolare di un brevetto essenziale, una volta accertata la presenza sul mercato di un prodotto che utilizza un certo standard, si rivolge al suo produttore o distributore per chiedere di sottoscrivere un contratto di licenza a condizioni ‘Frand’.

Il soggetto utilizzatore così non ha altra scelta se non accettare la licenza alle condizioni proposte dal titolare del brevetto. A differenza dei brevetti non essenziali dove l’utilizzatore può ricercare soluzioni alternative che non violino il brevetto in questione, per i brevetti essenziali non è possibile poiché si tratta di standard utilizzati per conformarsi a norme tecniche su cui si basano milioni di prodotti e che consentono quindi l’interoperabilità degli stessi.

La situazione in Italia

La mancata definizione di una cornice sulla questione brevetti essenziali potrebbe costare assai caro all’Italia. Secondo lo studio di Trevisan & Cuonzo, l’evoluzione dell’IoT vale sei miliardi di euro annui per il nostro Paese.

I settori più interessati sono la sanità (soprattutto il settore farmaceutico e della produzione di sistemi diagnostici e medici), agricoltura (la connettività per le caratteristiche delle colture), energia (uso dei Big Data sul campo nel percorso verso l’energia pulita), retail (realtà virtuale per potenziamento e-commerce), produzione industriale, con la connessione che serve per collegare le macchine industriali e la robotica.

E anche l’automotive (tra guida assistita, connettività, autonomia, smart mobility), che vale 1,8 miliardi di euro per l’Italia in un mercato globale da 24 miliardi di dollari (saranno circa 56 miliardi entro il 2026). A livello europeo solo l’implementazione del 5G – previste 1,8 miliardi di connessioni globali entro il 2025 – contribuirà per mille miliardi di euro al Pil europeo. E in questo contesto i brevetti essenziali che proteggono le nuove tecnologie (sono 95 mila solo per il 5G) sono centrali.

Tutte le aziende che vorranno implementare i numerosi standard di telecomunicazioni per rendere connessi i loro prodotti dovranno stipulare una licenza con i titolari di quei brevetti essenziali. Insomma, c’è un potere negoziale eccessivo dei titolari dei brevetti che mette in difficoltà le imprese.

All’interno della questione generale sui brevetti essenziali, sul rapporto tra titolari e aziende che si servono di quei brevetti, c’è il rapporto mai nato tra brevettazione e aziende italiane. In Italia si brevetta poco. Secondo l’Ufficio europeo brevetti, nel 2020 l’Italia ha depositato richieste per cinquemila brevetti, solo il 20% del totale delle domande di brevetti presentate in Germania. Un rapporto sproporzionato, considerando elementi come popolazione totale e prodotto interno lordo dei due Paesi.

“Incide soprattutto la natura, la fisionomia del sistema industriale italiano, con tante realtà medio-piccole anche di grande qualità con pochi mezzi e anche con poca propensione culturale alla brevettazione, che non è un passaggio necessario secondo buona parte delle imprese – continua l’avvocato Battarino dello studio legale Trevisan & Cuonzo – è un peccato, ci sono settori in cui l’Italia è eccellenza europea e mondiale, come nella produzione di dispositivi diagnostici e medici, come nella farmaceutica. Il grande pericolo per le aziende italiane è l’essere esposte così ai brevetti di altri paesi”.

Secondo il legale, un altro elemento potenzialmente che potrà impattare sui brevetti essenziali nell’era dell’Internet of Things è l’entrata in vigore di un tribunale del brevetto unitario, al via entro l’autunno, con sedi a Parigi e Monaco di Baviera,  ratificato da sedici paesi. Il rilascio del brevetto europeo consentirà, attraverso il pagamento di un’unica tassa di rinnovo, di ottenere contemporaneamente la protezione brevettuale nei 25 paesi Ue aderenti all’iniziativa.

Visto dall’Europa

La Commissione Europea, in una comunicazione al Parlamento di Strasburgo dello scorso anno aveva evidenziato il ruolo cruciale dei brevetti essenziali nello sviluppo della tecnologia 5G e dell’Internet of Things, rilevando, ad esempio, che solo per gli standard di connettività mobile sono state dichiarate all’ETSI (l’Istituto Europeo delle norme di telecomunicazione) più di 25 mila famiglie di brevetti.

Sempre in quella comunicazione la Commissione ha rilevato tuttavia le difficoltà che alcune imprese continuano ad incontrare nel trovare con i titolari dei brevetti essenziali un accordo sulla concessione di licenze e il conseguente crescente numero di controversie tra titolare e utilizzatore.

Qualche settimana fa ancora la Commissione europea ha inaugurato una consultazione pubblica sulla proprietà intellettuale per la definizione di un quadro normativo per i brevetti essenziali: “Si tratta di un lavoro importante, portato avanti anche in Regno Unito, Stati Uniti e Giappone, per definire gli ambiti in cui occorre agire, dall’assenza di un database completo sulle licenze per sapere se il titolare di un brevetto l’abbia già ceduta e a che prezzo, oppure l’assenza di un controllo preventivo sulle autocertificazioni dei detentori del brevetto che spesso creano portafogli con migliaia di brevetti, offrendo alle imprese in licenza tutto il pacchetto – aggiunge il legale dello studio Trevisan & Cuonzo – Un’altra possibilità di intervento è poi individuare le best practices per rendere più efficienti le negoziazioni tra le parti per evitare il contenzioso legale e anche gli strumenti alternativi alle cause, come l’arbitrato. La questione essenziale deve essere però la presa in carico del problema brevetti da parte delle imprese”.

Secondo il legale, un altro elemento potenzialmente che potrà impattare sui brevetti essenziali nell’era dell’Internet of Things è l’entrata in vigore di un tribunale del brevetto unitario, al via entro l’autunno, con sedi a Parigi e Monaco di Baviera, ad oggi ratificato da sedici paesi. Il rilascio del brevetto unitario consentirà, attraverso il pagamento di un’unica tassa di rinnovo, di ottenere contemporaneamente la protezione brevettuale in tutti i paesi Ue aderenti all’iniziativa.

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