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Mistero MacKenzie Scott: le donazioni della (riservatissima) ex moglie di Bezos

mackenzie bezos

Non è la tipica miliardaria filantropa. Dal suo divorzio con Jeff Bezos, MacKenzie Scott si è mossa velocemente, ha fatto grandi donazioni ed evitato i riflettori. Il suo desiderio di privacy limiterà la sua capacità di determinare cambiamenti ancora più incisivi? La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2022.

Nel marzo 2021 Sarah Bellamy ha trovato la sua fata madrina, mentre si trovava alle casse del supermercato di Kowalski a St. Paul. Era stato un anno tumultuoso e spesso tragico per Bellamy e Penumbra, la compagnia teatrale ‘di colore’ attiva da 45 anni che dirige in Minnesota, a sette miglia da dove fu assassinato George Floyd. Dopo mesi di proteste e la chiusura quasi totale delle attività artistiche a causa della pandemia, Penumbra si è reinventata come centro di sostegno per le comunità etniche, aggiungendo programmi di benessere e corsi di formazione sull’equità razziale alla sua offerta tradizionale. Qualche giorno prima, Bellamy aveva ricevuto una misteriosa e-mail in cui si spiegava soltanto che una società di gestione patrimoniale era interessata a discutere di Penumbra. Poi, mentre si preparava a poggiare la spesa sul nastro trasportatore della cassa, il suo telefono ha squillato.

“Mi hanno detto che MacKenzie Scott era interessata a investire nell’organizzazione, per un importo di 5 mln di dollari”, ricorda Bellamy. Sopraffatta da quella notizia, aveva dovuto sedersi. “Avevo la testa tra le ginocchia, probabilmente a guardarmi sembrava che non avessi ricevuto una buona notizia. È arrivata così, fuori dal nulla”. Questo slancio, ormai, è diventato un’esperienza familiare per centinaia di altri responsabili di no profit, e tutto grazie alla donna che, in soli due anni, è diventata uno dei filantropi più generosi e sorprendenti del mondo. MacKenzie Scott, scrittrice, prima dipendente di Amazon ed ex moglie del fondatore dell’azienda Jeff Bezos, fino al 2020 era nota principalmente per essere una voce nella sezione ‘vita privata’ della pagina Wikipedia di Bezos. Ma da quando ha preso il controllo della sua fortuna dopo il divorzio, Scott, 51 anni, ha donato più di 12 dei 53 mld di dollari del suo patrimonio netto.

Nei giorni in cui questo articolo è stato scritto, Scott aveva appena fatto esplodere la sua ultima ‘bomba’, rivelando alla fine di marzo di aver donato 3,9 mld di dollari, inclusi 436 mln a Habitat for Humanity, da giugno 2021. Numeri che fanno impallidire l’ammontare annuale delle donazioni di quasi tutti gli altri miliardari degli Stati Uniti; solo gli ex coniugi della Gates Foundation ed Elon Musk hanno promesso più soldi in beneficenza nel 2021, secondo The chronicle of philanthropy. E tutto questo è stato fatto in gran parte nello stesso modo in cui l’ha sperimentato Sarah Bellamy: gli emissari di Scott sono apparsi dal nulla con un enorme assegno, senza fanfara e senza porre condizioni, per poi svanire. Sta donando consistenti parti della sua ricchezza a una velocità vertiginosa, a organizzazioni a lungo trascurate da donatori più noti e senza il pesante apparato di una grande fondazione. Tutto ciò è rivoluzionario in un campo in cui di solito le mega-donazioni arrivano corredate di comunicati stampa, pretese, aspettative.

L’unica richiesta di Scott ai suoi beneficiari è che contribuiscano a preservare la sua privacy, a cui tiene molto. È impossibile candidarsi a una borsa di studio Scott, inviarle un biglietto di ringraziamento o contattarla direttamente; lei e i suoi consiglieri più stretti non rispondono quasi mai alle richieste di interviste. Anche a Bellamy e ai capi delle oltre 1.250 altre organizzazioni no profit finanziate da Scott è stato chiesto di non provare a identificare la persona che li ha informati delle sue donazioni. “Se hai svolto questo lavoro nell’ultimo anno e mezzo, conosci il nome MacKenzie Scott, e sai che non c’è niente che puoi fare per arrivare a lei”, spiega Rey Saldaña, Ceo di Communities in schools, una rete di organizzazioni no profit che a novembre ha ricevuto una di quelle telefonate a sorpresa, con la promessa di sovvenzioni per un totale di 133,5 mln di dollari.

“Si tratta di una persona che detiene una quantità significativa di potere in virtù della sua ricchezza e sa come condividere efficacemente questo potere”. A luglio 2020 Scott ha pubblicamente spiegato quale, secondo lei, sia il modo migliore per farlo, quando ha pubblicato il primo di quella che sarebbe diventata una serie semestrale di articoli su Medium in cui si parlava dele sue donazioni e della filosofia che ne è alla base. “Non ho dubbi sul fatto che la ricchezza personale di qualcuno sia il prodotto di uno sforzo collettivo e di strutture sociali che offrono opportunità ad alcune persone e pongono innumerevoli ostacoli ad altre”, ha scritto. Questa retorica la distingue da molti dei suoi colleghi miliardari. Gli americani più ricchi e le società da cui deriva la loro ricchezza, inclusa Amazon, sono diventati famosi perché cercano di pagare meno tasse, anche se il mercato azionario porta le loro fortune a livelli record, mentre il resto del Paese subisce una schiacciante crisi economica, sociale e sanitaria.

In mezzo a questo divario di ricchezza, Scott è emersa come un’eroina che porta una ventata d’aria fresca, pubblicamente a disagio con il suo patrimonio, impegnata a mantenere la promessa di liberarsene. La sua generosità da record rappresenta un monito per i colleghi, che donano solo l’1,2% dei loro beni su base annua, secondo un rapporto del 2018 della società di consulenza filantropica Bridgespan Group. L’anno scorso, anche se il guadagno dovuto all’ascesa del prezzo delle azioni di Amazon è stato superiore alle cifre che è riuscita ad elargire, le sole donazioni di Scott fino a giugno hanno rappresentato quasi il 5% del suo patrimonio netto.

Sebbene sia ancora all’inizio della sua attività filantropica, e non se ne possono misurare gli effetti a lungo termine, Scott sembra già influenzare altri grandi donatori. Rachel Stephenson Sheff, consulente filantropica per aziende e privati presso I.G. Advisors, afferma che “ogni singolo cliente” con cui la sua azienda ha lavorato nell’ultimo anno ha perlomeno fatto riferimento a Scott, se non proprio cambiato il proprio approccio alle donazioni grazie a lei. Un’azienda automobilistica multinazionale che ha rifiutato di essere nominata, ha rimosso le richieste di rendicontazione associate a molte delle sue sovvenzioni. “È stato un momento di luce”, dice Stephenson Sheff. “Hanno deciso di perseguire al 100% una filantropia basata sulla fiducia, ispirandosi al suo esempio”.

Ma agire velocemente e smuovere le acque significa anche rischiare di sbagliare. Per Scott questi inciampi di solito sono collegati al suo desiderio di privacy, che può scontrarsi con principi come trasparenza e responsabilità, e limitare la sua capacità di usare il suo importante pulpito per apportare cambiamenti. Sta affrontando questi problemi dal punto di vista pubblico in modo alquanto disordinato: il suo primo contraccolpo lo ha avuto alla fine dell’anno scorso quando ha provato a non indicare i nomi dei destinatari delle sue donazioni (ha dovuto rapidamente cambiare rotta). Nel frattempo, tutto ciò che riguarda la gestione delle donazioni rimane avvolta nel mistero: anche le persone certamente ritenute parte della sua ‘squadra’ si rifiutano di discutere del rapporto. Ciò non ha impedito a Scott di ottenere un’ammirazione quasi universale, ma fa riflettere su come potrebbe trasformare ulteriormente il mondo della filantropia.

“Ha un tale potere”, afferma Elizabeth Dale, professoressa associata dell’Università di Seattle che si occupa di donne e filantropia. Ma ci deve essere “un equilibrio tra avere una grande ricchezza e quelle responsabilità”.

Può essere inutile aspettarsi trasparenza da una donna che rifiuta di rispondere alle domande. Nei 20 mesi trascorsi da quando Scott ha annunciato pubblicamente le sue prime donazioni, non ha rilasciato un’intervista, né dato un contributo a nessuna delle tante storie scritte su di lei (compresa questa). Conosciamo – grazie ai suoi articoli letterari e alle sue riflessioni su Medium – la sua avversione per la ‘filantropia’, almeno per come la concepisce l’attuale classe di miliardari. “Non è una parola che abbia mai amato o con cui mi sia identificata”, ha scritto a dicembre. “I riferimenti culturali tradizionali l’hanno associata a persone facoltose che credevano di sapere meglio di altri come risolvere i problemi”. Sul tema, ha anche esperienza diretta. MacKenzie Tuttle è cresciuta conoscendo sia la ricchezza che la sua improvvisa scomparsa, così come gli impietosi riflettori delle autorità di controllo. Figlia di un consulente finanziario e filantropo con sede a San Francisco, a prima vista il curriculum di Scott sembra un menu di privilegi: Hotchkiss, prestigioso collegio del Connecticut; Princeton, dove ha studiato con Toni Morrison; D.E. Shaw, leggendario hedge fund di New York. Ma mentre Scott era al liceo, la Securities and exchange commission ha iniziato a indagare su suo padre, che alla fine ha dichiarato bancarotta. Riferendosi alle “spese sontuose” della sua azienda e all’incapacità di rimborsare i clienti, un giudice in seguito ha impedito a Jason Baker Tuttle di lavorare di nuovo nel settore delle securities. Sua figlia è comunque arrivata a Princeton, ma ha dovuto darsi da fare per pagarla, chiedendo aiuto economico e facendo un sacco di lavori mal retribuiti.

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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