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L’arte e l’Ucraina di Lesia Kulchinska, un futuro di piccoli passi

Sulla condizione delle donne, in Ucraina, ci siamo interrogate dall’inizio del conflitto con la Russia. Molte hanno scelto di restare, combattere e mettersi in gioco. Altre sono riuscite a fuggire, ma forse rimpiangono di non poter essere parte attiva, in questo momento di svolta del loro paese. Fra le donne che hanno scelto di partire c’è lei, Lesia Kulchinska, curatrice d’arte dal 2011 e ricercatrice presso il Visual Culture Research Center di Kiev. Professoressa associata all’Università di Kyiv – Mohyla Academi e fellow del Fulbright Program.

Fra i primi ucraini a varcare la frontiera, l’abbiamo raggiunta telefonicamente a  Bucarest. Ci ha raccontato una storia straordinaria, di smarrimento, sacrificio, rinascita.

Hai capito subito che bisognava lasciare l’Ucraina, che la situazione sarebbe poi peggiorata?
“In realtà no, nessuno pensava alla guerra, all’inizio. Siamo partiti, con mio marito e mia figlia di quattro anni, quando sono iniziati i bombardamenti. Nei giorni precedenti eravamo tutti confusi. Noi non avevamo la macchina nè un piano preciso su cosa fare, ci siamo diretti verso la stazione degli autobus, ce n’era uno in partenza per la Romania e lo abbiamo preso. Il viaggio è stato ‘illuminato’ dalle luci dei razzi nel cielo. Era notte quando siamo arrivati ad Ismail, l’ultima città Ucraina prima del confine con la Romania, abbiamo preso un taxi e il tassista, ascoltata la nostra storia, ci ha presi per matti, ‘siamo gente pacifica’ ha detto ‘non c’è nessun pericolo!’ e ne era proprio convinto. Vedi, credo che questa tendenza a pensare sempre positivo sia deleteria, alle volte”.

 Quando avete deciso di partire, e perché?
“Sono stata io ad insistere. Di solito non ascolto i notiziari, ma due settimane prima che cominciasse il conflitto, era il periodo natalizio, mia madre è venuta a trovarci dicendo ‘la guerra sta arrivando’. Ero incredula, ma da allora ho cominciato ad informarmi e ho notato tanti segnali che indicavano che qualcosa stava per succedere. Anche al lavoro, riuscivamo solo a parlare dei nostri timori, io ero forse l’unica persona veramente spaventata, i mei colleghi mi dicevano di stare calma, erano convinti che avremmo vissuto nuovamente un periodo di guerra fredda. Ma poi il conflitto è cominciato”.

Cosa ricordi con più intensità della tua vita a Kiev?
“Con l’anno nuovo tutti fanno grandi progetti, è il momento dei buoni propositi e della programmazione, ed io avevo in agenda di realizzare tante mostre, per il 2022. Ero felice, tanto che ho pensato di fare un viaggio con mia figlia, ho speso tutti i miei risparmi, siamo andate a Zanzibar…  pensavo con gioia al futuro. Quando siamo tornate in Ucraina sembrava che la situazione stesse precipitando, un giorno in particolare tutti aspettavano l’invasione, ma poi non è successo e allora ci siamo tranquillizzati. Al rientro dal viaggio sono andata dal dentista perché i denti hanno cominciato a darmi problemi, poi il mio computer ha smesso di funzionare, e l’ho portato in assistenza. Anche la lavatrice, tutto mi si è rotto prima della guerra. Ora non ho nemmeno più il mio computer, con tutti i miei lavori… passare dalla gioia della programmazione del nuovo anno al perdere tutto, di colpo, mi ha destabilizzata”.

Quale era la condizione delle donne in Ucraina, prima di questo conflitto
“La condizione delle donne? Le donne ucraine lavorano, tutte, sempre, per noi non è normale non lavorare, molte  hanno delle carriere di successo.  Devi vivere in un paese ricco per non lavorare. Nelle nostre famiglie si lavora tutti, per avere una vita ed un reddito decenti. Le donne ucraine sono molto forti. Le nostre madri hanno vissuto l’esperienza dell’Urss che le ha temprate, e le loro figlie, spesso, hanno scelto di andare a studiare e vivere all’estero, per fare esperienze nuove, diverse”.

Tu hai invece costruito la tua carriera in Ucraina
“Sono nata a Poltava, una cittadina di circa trecentomila abitanti, le persone con cui ho studiato vivono all’estero, io invece non avrei mai voluto lasciare il mio Paese. Ho partecipato al programma Fulbright, e per me era l’occasione di collaborare a progetti internazionali, restando però in Ucraina. Ma è grazie al Programma che ora sono stata accolta qui a Budapest, dove ho ottenuto una borsa di studio. Penso di essere stata molto fortunata. Anche perché mio marito è fra i pochi uomini che sia riuscito a passare il confine. Era notte quando siamo arrivati alla frontiera, sembrava che lui dovesse tornare indietro, e invece il soldato che ha controllato i documenti ci ha lasciati andare. Mio marito è un artista, per lo più realizza video, ha fatto già una mostra qui a Bucarest”.

Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
“Mi è difficile rispondere a questa domanda. Io sono fra quelli che sono riusciti a fuggire, eppure non so immaginarmi proiettata in una realtà diversa da quella che ho lasciato. Non riesco a spiegarlo meglio. È come se il futuro fosse frutto di un pensiero strategico. Io avevo tanti progetti all’inizio dell’anno, e sono scomparsi in un attimo. Ora non so più a pensare al futuro. Tutte le mie occasioni sono temporanee, riesco solo a programmare il presente. A Bucarest, ad esempio, faremo presto una mostra dedicata alle donne che ci hanno accolto qui. Si chiamerà ‘State of Emergency’, l’idea è nata mentre stavo pensando a questa strana connessione che si crea fra una catastrofe e la trasformazione. Alla distruzione segue sempre un momento di cambiamento, di creazione, di rinascita. Quando tutto finisce devi creare qualcosa di nuovo, trasformare lo stato di dissolvenza in momento di creazione, produrre qualcosa che dia speranza”.

C’è quindi un processo creativo che si attiva anche nei momenti di maggior smarrimento?
“Quando riesco a contattare le persone che sono rimaste a Kiev vedo che anche lì accadono cose belle. Alcune delle mie amiche hanno deciso di restare con i loro mariti, altre sono rimaste lì per i genitori, che pure non sono voluti partire. Molte di loro sono artiste e saranno testimoni di quello che sta succedendo. Di questo sono un pò gelosa. Perché loro racconteranno, con la loro arte, quello che ora si sta vivendo in Ucraina. Per il momento si rendono utili, credo sia molto importante dare il proprio contributo per alla resistenza, e sono molto depressa per il fatto di non poter partecipare”.

Fra i programmi del presente, oltre alla mostra, cosa pensi sia urgente realizzare?
“Il primo e più importante è quello di creare un asilo per mia figlia, che ha quattro anni. In Ucraina c’è un buon programma prescolare, e comincio a preoccuparmi perché lei potrebbe restare indietro nella preparazione. La scuola è la cosa più importante al fine di costruire il futuro dei bambini. Ma so che mia figlia diventerà più forte, proprio perché ora deve fare i conti con questo continuo cambiamento di scenario. Ha cominciato a parlare inglese e ucraino, è positivo che sia già predisposta a conoscere e apprendere lingue diverse”.

Una parte della tua famiglia ha scelto di restare in Ucraina
“Mia suocera era l’unica ad avere la macchina, ma inizialmente non voleva saperne di partire, è per questo che noi siamo andati via in autobus. I miei genitori invece sono tornati a Poltava, la nostra città d’origine, che al momento non è stata bombardata e questo li fa stare tranquilli. Io vorrei che partissero, ma mio padre ha avuto un’importante carriera politica, era un deputato, e mi risponde che non può lasciare la sua città perché vuole dare fiducia alla sua gente, dimostrare loro che c’è speranza. Adesso, sia lui che mia madre, si sono impegnati nel volontariato. Mia madre, in particolare, si occupa della realizzazione dei teli di protezione che servono per coprire gli obiettivi strategici e preservarli dai bombardamenti. Ci sono tante donne impiegate in questa attività, utilizzando pezzi di tessuto”.

 Il presidente Zelensky da voce a tutti voi ucraini, che opinione hai di lui?
“Io non ho votato per Volodymyr Zelensky, ero scettica perché credevo che, vendendo dal mondo del cinema, non sarebbe stato capace di governare, non ho creduto in lui, mi sembrava una specie di clown. Ora però vedo come gestisce tutta la situazione e mi piace, mi piace come parla, le cose che dice, e alcuni giorni fa ho sentito una sua intervista, ha risposto a tutto, anche alle domande più strane, sempre insistendo su due punti che anche io reputo strategici: il legal system e il valore della vita. Non sta lavorando su costruzioni ideologiche, ma sugli uomini, sul loro futuro, di cui vuol prendersi cura”.

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