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Patto di Stabilità sospeso, la vera sfida è cambiarlo

L’azione dell’Unione europea per fronteggiare l’eccezionalità della situazione che abbiamo di fronte passa anche per la proroga delle regole sui conti pubblici. L’efficacia della general escape clause, ovvero la clausola che a inizio 2020 ha sospeso il Patto di stabilità e crescita, si protrarrà per tutto il 2023.

Forse una scelta sofferta, di certo un’opzione per prendere tempo in attesa che la discussione sulle modifica del PSC vada avanti e si creino le condizioni per un accordo futuro.

Il contesto è davvero complicato. I rischi al ribasso delle prospettive economiche, l’aumento straordinario dei prezzi dell’energia, l’incertezza determinata dalla guerra in Ucraina che rende impossibile qualunque previsione a medio e lungo termine, hanno indotto la Commissione europea a decidere ancora per la sospensione delle regole di bilancio.

Anche se la proroga di per sé non mette al riparo i Paesi membri da eventuali procedure per deficit eccessivo. Dal prossimo anno sforare i conti implicherà dei rischi. E Stati ad alto debito come l’Italia sono più esposti: non è un caso che nelle raccomandazioni dell’Ue rivolte al nostro Paese le parole d’ordine siano state prudenza e attenzione alla spesa corrente.

Come dicevamo, la questione di una modifica delle regole di bilancio è solo rinviata. Il dibattito nelle istituzioni economiche è aperto ma la giusta distanza tra rigore e flessibilità è difficile da trovare. Lorenzo Codogno è visiting professor in practice alla London School of Economics, è stato dirigente generale presso il Dipartimento del Tesoro al Mef per circa dieci anni e ha ricoperto diversi incarichi in Italia, come all’estero.

Il suo è il punto di vista dell’analista economico che guarda alla situazione contingente ma nell’ambito di una prospettiva futura. Sulle recenti decisioni dell’Ue non ha dubbi: “La scelta di congelare alcune regole è stata inevitabile, c’è ancora molta incertezza sulle variabili, sulla crescita economica, sull’output gap (la differenza tra Pil effettivo e potenziale, ovvero tra economia reale e stime di crescita, ndr), sulle misure di bilancio in termini strutturali, sulla stance di politica fiscale. In questa situazione è stato meglio sospenderle nuovamente. Detto questo, una cornice di regole è assolutamente necessaria, servono per dare una guida alle politiche di bilancio anche se ormai è inevitabile una qualche correzione”.

Ma perché sia così difficile mettere mano al Patto di stabilità ce lo spiega così: “Il rischio è di dover rivedere i Trattati, il processo sarebbe lunghissimo, articolato e laborioso. Non credo sia necessario arrivare a tanto. Probabilmente all’interno delle regole attuali, facendo delle modifiche chirurgiche al Patto, si può arrivare ad una situazione che sia gestibile dando margini di manovra alla Commissione. Questa, a mio avviso, è la strada da seguire. È chiaro che più aumentano i margini di azione della Commissione più diventa soggettiva l’applicazione delle regole. Nei prossimi anni credo che si andrà verso una interpretazione flessibile delle regole. Tenendo presente che c’è anche un limite alla flessibilità perché non si cada nell’arbitrarietà, in balia di posizioni di forza tra i vari Paesi”.

In ogni caso, dall’Italia l’Ue si attende politiche improntate alla prudenza. Con il governo presieduto da Mario Draghi, e con il ministro dell’Economia, Daniele Franco, possiamo dire che la direzione di massima sia stata questa. Ma cosa accadrà dall’anno prossimo? “Il problema è decisamente il dopo Draghi”, dice Codogno. “Ci vuole prudenza per quanto riguarda i conti pubblici ma ci vuole coraggio e aggressività per quanto riguarda le riforme. Mi pare che le cose non stiano procedendo con la velocità e la profondità richieste dalla situazione. La maggioranza comincia già a sfaldarsi, dubito che dopo l’estate si possa fare molto. Il problema dell’Italia è che deve iniziare una stagione di grandi riforme, per ora fatte in maniera molto timida. C’è ancora tantissimo da fare, soprattutto per stimolare la crescita economica che è l’unico modo per uscire dal problema del debito”.

Dunque, eccoci arrivati al tasto dolente, al tallone di Achille dell’economia italiana. Come si gestisce un debito pubblico che ha superato da un pezzo livelli record? Il professore della LSE ci chiarisce che “anche la gestione del debito richiede prudenza, perché non si possono in queste circostanze avere politiche espansive, tranne che per i quattrini messi in campo dal Next Generation Eu. Si deve procedere gradualmente verso una neutralità della politica di bilancio, quanto meno per supportare quella monetaria che si fa più restrittiva. In questo quadro, in cui si dà meno supporto all’economia nel breve periodo, bisogna fare le riforme per dare supporto all’economia nel lungo periodo. Ciò cambia le aspettative degli investitori, degli operatori economici e può risollevare le sorti del debito”.

La forte interazione che esiste tra politiche di bilancio e politiche monetarie pone il quesito che riguarda le prossime mosse di Francoforte. La Bce, come già la Federal Reserve, sta andando verso il rialzo dei tassi di interesse. “La situazione diventa sempre più delicata. L’aumento nel breve periodo ha un effetto limitato sul costo del finanziamento del debito pubblico che con il passare del tempo aumenta. I mercati finanziari guardano al medio e lungo periodo e a quanto sia sostenibile un costo di finanziamento che torna verso situazioni normali. Questo è il grande punto interrogativo”.

Per il professore dell’ateneo londinese “un aumento dei tassi di interesse diventa sostenibile solo se c’è crescita economica. Altrimenti il problema rimane. Più che su politiche espansive, o su politiche monetarie accomodanti, che in questo momento non possono esserci perché c’è una fiammata dell’inflazione che richiede una risposta, bisogna puntare sulle prospettive di crescita future e convincere gli investitori, gli analisti, gli osservatori e operatori economici che esse rimangono positive. Questo è il messaggio che deve essere dato”.

Ma allargando lo sguardo a tutta l’Ue, mai come adesso, si ha l’impressione che alcuni strumenti di intervento per affrontare la drammatica crisi determinata dalla guerra in Ucraina siano insufficienti. Cosa fare? Le soluzioni possono essere diverse. “Dal lato della politica monetaria si parla di nuovi strumenti che potrebbe adottare la Banca centrale per ridurre la frammentazione e tenere gli spread sotto controllo. Dal lato della politica fiscale quello che serve è una capacità centralizzata, abbinata alla decisione di rendere comune una parte consistente del debito europeo. Un simile orientamento dovrebbe aiutare anche l’Italia e introdurre una struttura per incentivi che sostenga in futuro una maggiore disciplina di bilancio”.

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