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Liverpool-Real Madrid, in Champions League lo scontro tra 2 modelli vincenti

Una coppa tra modelli sportivi e finanziari vincenti. A Parigi per la Champions non c’è ovviamente solo la sfida tra Jurgen Klopp e Carlo Ancelotti, Benzema o Salah. È Liverpool-Real Madrid: modi differenti di stare al mondo, approccio politico ed economico agli antipodi nel calcio europeo.

Assieme fanno 20 Coppa campioni/Champions League, si sono già incontrate tre anni fa con successo spagnolo, per i madrileni sarebbe la 14esima.

Vincono, competono, portano in squadra campioni con due modelli di governance aperti: l’azionariato popolare per il Real Madrid, con un numero di soci con diritto di voto, un presidente e un comitato direttivo che si occupa della gestione della società. Lo stesso modello applicato dal Barcellona e dall’Atletico Madrid, che risente di logiche politiche nei mesi che precedono la rielezione del presidente ma che permette a soci benestanti di investire senza limiti nel club.

Per i Reds invece c’è una proprietà straniera, il fondo statunitense Fenway Sports Group. Tra gli investitori, anche la stella del basket Nba, Lebron James.

Si sono spesso fatte anche concorrenza sul mercato, al Real Madrid piace da anni l’egiziano Salah, ma i Reds hanno la forza economica di reggere l’urto e il fascino del Real Madrid, proponendo agli atleti stipendi anche più alti del colosso spagnolo. Che è poi il motivo per cui Jurgen Klopp ha deciso di rinnovare il contratto fino al 2026.

Liverpool-Real Madrid: il Real, l’establishment

28 maggio, 2022, Madrid, Spagna: immagini del Real Madrid su una vetrina (Credit Image: © Xavi Lopez/SOPA Images via ZUMA Press Wire)

L’immagine potrebbe risultare appannata, dopo il voltafaccia di Kylian Mbappè che ha preferito rinnovare a cifre folli con il Paris Saint Germain dopo essersi impegnato personalmente con Florentino Perez. Erano già pronte a essere immesse sul mercato le maglie del Real con la numero sette dell’attaccante della nazionale francese. Ma non ci saranno danni, resta il Real Madrid, il Real di Perez.

Il Real rappresenta l’esercizio di potenza più pura del calcio tradizionale. Il club che nel 2017 (ma c’era ancora Cristiano Ronaldo) per una partita amichevole agostana con il Barcellona nello stadio-forno di Miami, l’Hard Rock Stadium, ha richiamato 65 mila spettatori, con tagliandi sul mercato secondario piazzati fino a duemila dollari, poi i diritti televisivi per la partita a un network americano, i ricavi da merchandising, i pacchetti turistici da Messico, Cile, ovviamente Spagna.

Secondo l’International Chamber of Commerce, il giro d’affari di quella partita è andato vicino ai 100 milioni di dollari.

E una volta finito l’effetto bolla del calcio anche a causa della pandemia, il Real ha saputo anche rivedere al ribasso l’indebitamento, anche attraverso l’utilizzo di artifici finanziari come le plusvalenze e pure prestiti di stato a tassi bassi.

A fine 2020 il debito, già in discesa, era a quota 240 milioni di euro che sono divenuti circa 125 milioni nelle scorse settimane, mentre le entrate della stagione 2020/2021, quindi toccata dalla pandemia che ha quasi azzerato gli introiti dal botteghino, sono state di 772 milioni di euro.

Il Real ha fatto pure registrare un EBITDA positivo di 180 milioni di euro. Qualche giorno fa un report di Brand Finance ha assegnato al club blanco per il quarto anno in fila la corona di brand che vale di più sul mercato, circa 1,5 miliardi di euro, davanti a Manchester City e Barcellona.

Insomma, è tornato un club in salute economica. Il Real ha pure creato l’ormai famosa Superlega, con Barcellona e Juventus, cui il Liverpool, con i due club di Manchester e l’Arsenal, aveva subito aderito, prima del fulmineo ritiro, tra le proteste dei tifosi e le minacce di ritorsioni, neppure troppo nascoste, del governo Johnson, assai contrario a un prodotto che avrebbe svilito l’appeal di un motore economico come la Premier League.

Nel disegno di rilancio della grandeur del Real Madrid c’è anche il restyling da 525 milioni di euro del Santiago Bernabeu, finanziato con prestiti governativi, con l’intervento di colossi bancari. Impianto con copertura integrale in 5G, il campo retrattile. Il mito del Real che va avanti. Fino al prossimo contratto con un nuovo sponsor, si chiude a fine anno l’accordo con Emirates per 70 milioni annui, proseguono le trattative con colossi di diversi settori.

Liverpool-Real Madrid: i Reds americani

Sessione di allenamento dei giocatori del Liverpool allo Stade de France in Saint-Denis, a Parigi, 27 maggio2022. EPA/YOAN VALAT

Nel report di Brand Finance c’è spazio anche per il Liverpool, al quarto posto, valore 1,3 miliardi di euro, in compagnia del Manchester United, a un soffio dal Barcellona. Anche i Reds sanno coniugare risultati sul campo e il successo commerciale. Anzi, hanno fatto di meglio, perché l’appeal non è mai calato neppure quando non si vinceva. Ora potrebbe arrivare la seconda Champions League in tre anni, ma il club inglese in questi anni ha vinto – tre anni fa – solo una delle ultime 30 edizioni della Premier League.

La proprietà del Liverpool viene dagli Stati Uniti. Uno spicchio del pacchetto di maggioranza è del fondo Red Bird (che sta acquistando il Milan per 1,3 miliardi di dollari) ma la parte del leone appartiene al Fenway Sports Group, un fondo con sede a Boston, con un pacchetto di azioni anche dei Boston Red Sox (Major League Baseball). Tra gli investitori, oltre al magnate William Henry e all’ex patron della Roma James Pallotta, c’è Lebron James, una delle tre-quattro stelle planetarie dello sport, pure imprenditore di successo, che ha puntato oltre 6,5 milioni di dollari nel 2011 per il 2% delle azioni del Fenway. Ora non perde occasione per mostrarsi tifoso dei Reds sui social.

Il fondo americano ha garantito gli investimenti per rilanciare il club inglese dopo la crisi degli anni Novanta. Ora il Liverpool è una potenza mondiale, è stata una delle prime prede dei fondi statunitensi che hanno investito in Premier League, preceduto dalla famiglia Glazer al Manchester United.

Tradizione britannica, l’urlo di Anfield e una gestione americana sul modello Nba, la formula funziona a tal punto che due anni fa, con la Premier League strozzata dalla pandemia, per il Liverpool c’è stata una crescita nel settore retail: record di vendite delle magliette ufficiali, nuovi negozi in Asia (Thailandia, Singapore, Vietnam). Un marchio che cammina da solo, un po’ come quell’inno così evocativo cantato ad Anfield dai tifosi (You’ll Never Walk Alone), che potrebbe portare i Reds ad avvicinarsi a 100 milioni di euro di entrate per lo sponsor principale sulla maglia di gioco: come riportato anche da Liverpool Echo e da altri siti finanziari, il colosso bancario britannico Standard Chartered sarebbe pronto a portare il compenso annuo per i Reds a 100 milioni di dollari dal 2023/2024, quando scade l’accordo attuale da 80 milioni di dollari, che è già il contratto di sponsorizzazione più ricco al mondo.

Tutto questo arriva a pochi mesi dalla pandemia, dai danni economici per i club che non ha impedito al Liverpool, nonostante Anfield sia stato chiuso per mesi, di arrivare nel 2021 a 580 milioni di euro di entrate.

Liverpool e Nike

Dunque, una miniera d’oro per il Liverpool che nel campo delle partnership si è fatto precursore di un accordo rivoluzionario con Nike. Dal 2020 l’intesa con il colosso americano prevede un fisso superiore ai 30 milioni di euro e una ricca percentuale sulle vendite, circa il 20%. Un pacchetto che dovrebbe portare i Reds a incassare quanto il Manchester United: 85 milioni di euro annui garantiti da Adidas.

L’accordo con Nike ha portato il Liverpool a registrare, secondo le stime di Swiss Ramble, circa 256 milioni di euro annui in accordi commerciali, al terzo posto in Premier dopo il Manchester City (320 milioni) e Manchester United, con 272 milioni incassati.

 

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