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Perché alle Pmi quotate piace lo smart working

smart working pmi

Nel percorso verso un nuovo modello lavorativo, così come in quello della trasformazione digitale, si parla di solito di ‘doppia velocità’. Quella delle grandi e quella delle piccole imprese. Di norma, si dice sia un problema culturale, che in realtà può voler dire tante altre cose: ad esempio, una grande azienda ha le risorse per pensare a come costruire lo smart working, a differenza delle aziende più piccole. Eppure, quando sono quotidianamente a confronto con il mercato, la mentalità di quelle piccole imprese cambia. E anche gli spauracchi dei piccoli imprenditori (i dipendenti che lavorano a casa senza supervisione, ad esempio) possono diventare una strategia su cui investire, secondo i risultati di una ricerca di IR TOP Consulting forniti in esclusiva a Fortune Italia.

Sono 176 le aziende italiane appartenenti al listino Euronext Growth Milan (ex AIM) di Borsa Italiana. Il 64 % di queste (su un campione rappresentativo corrispondente al 20% del listino) manifesta la volontà di adottare, nel corso del 2022 e anche nei prossimi anni, strategie che servano a garantire l’introduzione di politiche di smart working. In media già il 55% delle risorse umane, oggetto del panel, svolge abitualmente la propria attività in smart working.

“Tale risultato è spiegabile alla luce dei maggiori benefici che il lavoro flessibile comporta”, dice a Fortune Italia Anna Lambiase, CEO & Founder di IR Top Consulting, che è una ‘boutique finanziaria’ attiva nell’advisory per la quotazione in Borsa delle Pmi. Quali sono i potenziali vantaggi economico-sociali del lavoro agile, secondo la ricerca? “Per il 44% del campione, la possibilità di conciliare vita privata con l’attività professionale rappresenta il principale driver che induce i lavoratori e le Pmi ad aderire allo smart working”. La stessa percentuale “è legata alla volontà di garantire una maggiore sicurezza dei dipendenti, alla luce della delicata situazione pandemica attraversata”.

Il settore in cui si registra una maggiore diffusione del lavoro da remoto è quello tecnologico, rappresentativo del 27% dell’intero campione. Inoltre, l’implementazione del lavoro flessibile implica, per il 33% delle Pmi del campione, una riduzione dei costi operativi aziendali e una maggiore efficienza delle performance. Il 22% delle società evidenzia uno svantaggio dovuto al prolungato smart working, concretizzabile nella limitazione delle relazioni tra colleghi e dunque nel venire meno della possibilità di condivisione e inserimento nella cultura aziendale.

Infine, la quasi totalità delle società intervistate (96%) non identifica alcun legame tra l’attuale crisi geo-politica ed energetica e l’implementazione delle strategie di lavoro agile nel proprio contesto aziendale.

La differenza con le Pmi non quotate

Secondo i risultati di un altro osservatorio, quello del Polimi sullo smart working, il lavoro agile tra le Pmi in generale (non solo, quindi, le poche quotate sull’ex Aim) rimane parecchio indietro rispetto a quello implementato dalle grandi aziende. In generale, nelle Pmi nel 2021 si è tornati al lavoro in presenza prevalentemente a causa della mancanza di una cultura che, invece di orario e luogo di lavoro, sia incentrata sul raggiungimento dei risultati. Mentre ci sono stati progetti di smart working strutturati o informali nell’81% delle grandi imprese, solo il 53% delle PMI ha provato lo stesso tipo di progetti. Inoltre, a novembre 2021 l’osservatorio del Polimi prevedeva (per il post pandemia) che lo smart working sarebbe rimasto nell’89% delle grandi aziende, ma solo nel 35% delle Pmi, fra cui prevale un approccio informale (22%) ed è forte la tendenza a tornare indietro (un terzo di quelle che ha sperimentato lo smart working prevede di abbandonarlo, si legge nel report).

Perché questa differenza di attitudine verso lo smart working tra Pmi quotate e non quotate? Innanzitutto, spiega a Fortune Italia Anna Lambiase, va considerato il campione della ricerca su quelle quotate: “Le motivazioni dell’interesse da parte delle aziende quotate sul mercato EGM verso lo smart working sono sostanzialmente legate alla forte concentrazione di aziende appartenenti al settore digitale”, dice Lambiase, “che è quello con una maggiore diffusione del lavoro da remoto”. Un modello lavorativo “che implica, secondo le società intervistate, una maggiore riduzione dei costi operativi aziendali e una più alta efficienza delle performance”.

Ma per Lambiase il motivo della diversa propensione allo smart working potrebbe nascondersi anche nella governance: “Un altro fattore che potrebbe spiegare questa maggiore incidenza è legato alla migliore organizzazione interna che le società quotate dimostrano con riferimento alla pianificazione strategica, programmazione e controllo e alla governance che permettono di assimilare meglio il lavoro flessibile”.

C’è poi un ultimo tema: le società quotate, anche quelle piccole, si devono confrontare con il mercato. “Il confronto con gli investitori credo possa in qualche modo rappresentare una ulteriore spinta allo smart working in maniera indiretta, a seguito di un processo di apprendimento verso realtà comparables che spesso rappresentano un benchmark nel percorso di apprendimento di una quotata”.

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