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Startup, il ‘sogno indiano’: dall’Italia a Bangalore per diventare unicorni

Per molti giovani imprenditori italiani il “sogno indiano” ha già sostituito quello americano. Bangalore, la capitale dello stato meridionale del Karnataka, in India, è diventata uno dei più interessanti porti d’approdo per talenti informatici e startup da tutto il mondo.

Con un progetto imprenditoriale innovativo, un inglese fluente, buone capacità d’impresa e il giusto spirito di adattamento, in Karnataka si troverà l’ambiente ideale per incubare la propria azienda e farla crescere in tempi record sfruttando l’opportunità di un mercato immenso.

È stata l’iniziativa Startup India, lanciata dal governo Modi già nel 2016, con il piano d’azione per promuovere l’imprenditoria in un paese da quasi 1,4 miliardi di abitanti (il secondo più popoloso al mondo dopo la Cina) a rendere possibile, in soli cinque anni, la nascita di una vera e propria “Silicon Valley” indiana.

Una realtà in ascesa così rapida da giustificare l’apertura di una nuova sede consolare a Bangalore che è peraltro stata inaugurata questo mese, alla presenza del ministro degli esteri Luigi Di Maio.

Il console generale che la guida, Alfonso Tagliaferri, è stato tra i primi diplomatici della comunità internazionale ad arrivare in una regione dove si contano tuttora solo una decina di consolati (aperti dai paesi del G7 e da qualche altro “grande”).

Una scelta lungimirante perché, spiega a Fortune Italia, “Bangalore è la nuova frontiera dell’India”. I dati aggiornati che esibisce confortano questa visione: l’India è il più grande ecosistema al mondo per numero di startup aggiunte all’ora (circa 4 nuove registrazioni ogni ora, secondo dati dell’agenzia nazionale Invest India) ed è anche il terzo ecosistema globale per numero di startup finora riconosciute (oltre 66mila).

Con i suoi 94 unicorni, di cui oltre la metà concentrati a Bangalore, valutati a marzo, complessivamente, quasi 320 miliardi di dollari, il Paese conquista in questa categoria la terza posizione della classifica mondiale.

Per farsi un’idea basti pensare che l’Italia, Paese del G7 campione d’innovazione che continua a esportare “cervelli”, ad oggi conta solo tre unicorni (startup che raggiungono la valutazione di almeno un miliardo di dollari in tempi relativamente brevi come Yoox, Depop e Scalaplay) mentre in Europa, in tutto, ce ne sono una settantina.

L’India, solo nel 2021, ha tenuto a battesimo 44 nuovi unicorni, il triplo rispetto al 2020, e la lista si è ulteriormente allungata nei primi tre mesi di quest’anno di ben 13 nuovi ingressi.

“La pandemia, che qui ha colpito durissimo obbligando il governo ad adottare regimi ferrei di lockdown, ha alimentato ulteriormente la crescita delle attività digitali”, continua Tagliaferri evidenziando come la sovrabbondanza di business incentrati sul digitale con la crescita esponenziale dell’e-commerce e dell’e-banking, facilitate dal vasto bacino di utenti smartphone, siano state ingredienti fondamentali per l’esplosione del fenomeno Dedacorn (startup che raggiungono valutazioni di oltre 10 miliardi di dollari).

L’ecosistema di Bangalore

È nella città di Bangalore però che la combinazione di questi tre fattori ha prodotto i risultati più impressionanti: la megalopoli, una delle tre capitali dell’high tech con Mumbai e Nuova Delhi, da sola l’anno scorso ha attirato quasi la metà di tutti gli investimenti esteri diretti nel subcontinente e quasi il 50% di tutti i finanziamenti di venture capital. Questo stato produce anche il 40% di tutto l’export indiano di software, merci per un valore di 81 miliardi di dollari della bilancia commerciale.

La vocazione scientifico-tecnologica e digitale della megalopoli ha avuto altri importanti riflessi. Ha prodotto anzitutto un boom demografico che ha visto la popolazione residente passare dai 5 milioni del 2000 agli oltre 12 milioni del 2022.

Se tutto il subcontinente è “giovane” in termini di età media e “in crescita”, dal punto di vista demografico, Bangalore lo è ancora di più: si ipotizza che sarà abitata da 18 milioni di persone nel 2035 e almeno il 55% di queste avrà meno di 25 anni.

Il crogiuolo di etnie che qui confluiscono, con le diverse lingue indoeuropee parlate e le migliaia di dialetti, hanno reso indispensabile l’uso dell’inglese anche tra indiani che, altrimenti, non potrebbero comprendersi. E il fattore linguistico, a sua volta, ha fatto da traino ai “big” dell’information technology statunitense che qui, già vent’anni fa, hanno trovato forza lavoro altamente qualificata e anglofona.

Anche le imprese italiane, più recentemente, hanno cominciato a rendersi conto di queste condizioni ottimali. Hanno realizzato, sottolinea ancora Tagliaferri, “che venire in India è come poter lanciare un amo in un mare vasto e pescosissimo, certo i concorrenti sono numerosi, ma anche le opportunità”: basta progettare un’app innovativa, in inglese, con bassa soglia di saturazione per avere buone probabilità di fare centro sull’immensa classe media indiana.

È successo a diversi imprenditori italiani che con i loro progetti avevano già ottenuto buoni riscontri sul nostro mercato. Grazie alle dimensioni e alla facilità d’accesso sul mercato indiano, a Bangalore, hanno potuto fare il gran salto di qualità.

Dietro il fenomeno Noonic, ad esempio, c’è l’avventura di tre amici padovani – Nunzio Martinello, Nicola Possagnolo e Sebastiano Favaro – produttori di siti web già ai tempi del liceo.

Nel 2011, poco più che ventenni, lanciano con successo in Kerala la loro prima web agency. Il business funziona così bene da farli approdare solo due anni dopo, in Karnataka dove fondano la loro tech company, Noonic, specializzata in software e digital marketing. Nel 2021 il Financial Times inserisce Noonic tra le startup leader di crescita in Ue.

Forte di quel successo, nel 2019, Martinello fonda e diventa Ceo di Akiflow, tech company specializzata nella sincronizzazione di software per l’organizzazione ottimale del tempo (calendari, memo, notes ecc.) nei nuovi ambienti lavorativi. Akiflow è una piattaforma digitale che interagisce con tutte le app di uso quotidiano e permette di aumentare la produttività limitando fino a due ore al giorno gli sprechi di tempo. La conferma del nuovo concept vincente è arrivata poche settimane fa da YCombinator, uno dei maggiori acceleratori di startup del mondo, che la seleziona e decide di finanziarne la crescita con 1,8 milioni di dollari.

Un’altra storia da manuale è quella di Even, startup nel settore healthtech che nel 2020, poco prima dell’esplosione del Covid in India, si affaccia su quel mercato proponendo un innovativo sistema di assicurazioni sanitarie che poggia su cashless e accordi diretti con i migliori ospedali del Paese.

A co-fondarla, con Alessandro Ialongo, 30 anni, c’è Matilde Giglio, 31 anni, romana, già fondatrice di Compass News, una startup che voleva essere lo spotify del giornalismo. L’idea era stata molto apprezzata ma i tempi non ancora maturi e Giglio, dopo una solida esperienza nel settore venture capital londinese, ricomincia da Bangalore con l’idea di rivoluzionare il settore assicurativo sanitario indiano: in poco più di un anno riesce a “rastrellare” quasi 20 mln di dollari dai più grandi VC del mondo. Da quell’iniezione di capitali Even non si è più fermata.

Kaleyra è già un grande gruppo che fornisce a quasi 4mila aziende in tutto il mondo servizi di messaggistica mobile. Servizi che in tempi di pandemia sono letteralmente esplosi perché “omnichannel” e capaci di integrarsi con i più popolari software di helpdesk e con le maggiori piattaforme di e-commerce.

Nata a Milano, acquista nel 2016 l’indiana Solution Infini e si stabilisce a Bangalore, dove oggi lavorano un centinaio dei suoi quasi 700 dipendenti. Alla fine del 2019 si quota al NYSE e continua anche Oltreoceano ad ingrandirsi con l’acquisizione di altre aziende nel settore.

Quelli citati sono casi eclatanti che non comprendono, ovviamente, le decine di esperienze imprenditoriali avviate con successo nella Silicon Valley indiana dove già operano un centinaio di aziende italiane, tra quelle di diretta proprietà, quelle frutto di joint venture e quelle che operano in partnership. E dove – si apprende – la recente visita del ministro Di Maio, che ha incontrato le massime personalità politiche e scientifiche del Karnataka, potrebbe ulteriormente contribuire a spianare la strada verso nuovi partenariati economici strategici in settori cruciali per la nostra economia come la sostenibilità energetica e il manifatturiero avanzato.

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