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Calcio e Covid, l’industria del pallone nella palude dei debiti

Una analisi impietosa dei conti del calcio professionistico italiano ai tempi del Covid. I numeri disastrosi emergono dalla dodicesima edizione del ReportCalcio, un documento sviluppato dal Centro Studi Figc in collaborazione con Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e PwC Italia (PricewaterhouseCoopers). Freddi numeri, in parte già noti, che indicano l’impatto devastante della pandemia sui conti già in rosso del calcio italiano. I ricavi da ingresso allo stadio sono stati quasi azzerati nell’anno 2020-2021 rispetto ai 341 mln di euro incassati al botteghino degli stadi nella stagione 2018-2019.

La Figc può così certificare come nelle due stagioni calcistiche funestate dal Covid e dunque dalle misure di contenimento del contagio scanditi da provvedimenti del ministero della Salute (stadi chiusi, parzialmente chiusi o con numero di ingressi contingentati) si è passati da oltre 16 milioni di spettatori ad appena 148 mila paganti tra il 2018-2019 e il 2020-2021. Gli spettatori potenziali persi dal calcio professionistico nelle due annate covid ammontano – è scritto nel ReportCalcio – a 23,1 mln, con un impatto in termini di ricavi potenziali non realizzati da vendita di biglietti pari a 513,3 mln di euro.

È la certificazione della crisi di uno dei principali settori industriali italiani. Parliamo di un comparto economico in grado di coinvolgere 12 diversi settori merceologici nella sua catena di attivazione di valore, con un impatto indiretto e indotto sul Pil italiano pari a 10,2 mld di euro e oltre 112.000 posti di lavoro attivati. Il solo Calcio professionistico, a livello fiscale e contributivo, ha prodotto nel 2019 un gettito complessivo pari a quasi 1,5 mld di euro (+6% rispetto al 2018 e +71% rispetto al 2006, l’anno dell’inchiesta Calciopoli), dato che equivale a circa il 70% del contributo fiscale generato dall’intero sport italiano.

Complessivamente negli ultimi 14 anni la contribuzione ammonta a circa 15,5 mld di euro, e per ogni euro “investito” dal Governo italiano nel Calcio, il Sistema Paese ha ottenuto un ritorno in termini fiscali e previdenziali pari a 18,3 euro. Messa in questi termini la situazione appare drammatica. I bilanci dei club sono quasi tutti in profondo rosso. Per far fronte alle perdite le plus valenze non sono la strada maestra. Per molte procure d’Italia che hanno inchieste aperte (Torino, Milano e Napoli) si tratta di sistemi tossici. Dalle analisi degli inquirenti al lavoro emergerebbe, infatti, un ricorso alle plusvalenze di ragazzi delle giovanili con un aumento incontrollato degli ammortamenti. In pratica si scambiano giocatori sconosciuti e che valgono poco a prezzi altissimi per poi mettere a bilancio nuovi ammortamenti. E dunque costi enormi, che senza le coperture, si trasformano regolarmente in perdite.

Ovviamente sono accuse di inquirenti, non sentenze di Tribunali. Per uscire dal pantano economico esistono altre due strade. Due strade obbligate: ricapitalizzare o indebitarsi. Al momento gli azionisti dei più importanti club di Serie A, tutti di proprietà straniera o con sedi all’estero, hanno ricapitalizzato per quasi un miliardo dopo la pandemia. La famiglia Agnelli, a capo della Juventus attraverso l’holding olandese Exor, ha ricapitalizzato con 400 mln la società bianconera. Una montagna di milioni per rimpinguare le casse dopo l’esperienza non esaltante dell’acquisto e del pagamento dei servizi di Cristiano Ronaldo. Ben 335 per la Roma. Il Milan ha immesso 130 mln. Sono 75 i milioni tirati fuori dall’Inter. E in misura minore hanno provveduto a ricapitalizzare altre importanti società.

Siamo di fronte, però, ad un tentativo di svuotare con un secchiello il mare di debiti che ha toccato nel 2020 la stratosferica cifra di 5 mld di euro. Una somma destinata a salire ancora. Il bond da 415 mln emesso dall’Inter a fine gennaio 2022, per rifinanziare un debito precedente nel frattempo scaduto, è solo l’ultimo tentativo di accedere a crediti che i club non riusciranno mai a rimborsare. Il bond monstre dell’Inter è stato piazzato con successo ma ad un tasso del 6,75% ed è quotato alla Borsa del Lussemburgo grazie alla Banca Rothschild in qualità di financial advsor e Goldman Sachs come global coordinator e bookrunner.

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