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Cristina Scocchia: Quote rosa una medicina amara ma necessaria

“In Italia donne e giovani sono penalizzati. Le quote rosa sono una medicina amara, ma necessaria”: parola dell’amministratore delegato di Illy Caffè, Cristina Scocchia. La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio-agosto 2022 .

“Arriva in azienda un gruppo di fornitori, salutano con molti ossequi i miei dirigenti, io sono invisibile. Poi si girano verso di me e mi porgono il cappotto. ‘Può appenderlo per favore?’, mi chiedono. ‘Volentieri’ rispondo. E mi presento: ‘Piacere, sono l’Amministratore delegato’”.  Eccola Cristina Scocchia. Pragmatica, diretta. Quando Illy Caffè le offre un posto in Cda si accorge subito che quel ruolo non era abbastanza: Cristina poteva e doveva essere di più.

Così da gennaio di quest’anno Scocchia diventa Ad di Illy caffè, uno dei brand di caffè più celebri al mondo, simbolo per eccellenza del Made in Italy.  Tuttavia, Illy caffè non è che l’ultimo traguardo: prima c’è stata Kiko, prima ancora L’Oreal, Procter & Gamble per cominciare. Il talento di Cristina si accende negli anni dell’Università, si sviluppa all’estero ed esplode in Italia, dove però si trova a essere spesso l’unica donna nella stanza. Oggi facciamo colazione con la regina del caffè. E con chi, sennò. “Ho iniziato il mio percorso all’Università Bocconi mentre studiavo. Un’amica mi ha convinto a partecipare a una presentazione di Procter&Gamble dove sono andata controvoglia, senza aspettative. Invece sono rimasta folgorata da questa azienda che parlava di talento, di merito, di investimenti sui giovani, di uguaglianza di genere. Poche settimane dopo sono entrata in azienda da stagista e 3 mesi più tardi ero dipendente. È stata dura, per 3 anni ho lavorato dalla mattina alla sera, il tempo per studiare era dalle 23 alle 3 del mattino. È stato faticoso, ma ne è valsa la pena. Ho capito che era un treno da prendere subito, uno di quelli che passa una volta nella vita. Ho lavorato in Procter & Gamble per 16 anni, fino a diventare responsabile di Max Factor, brand della cosmetica presente in oltre 75 mercati nel mondo. A quel punto mi ha scoperta L’Oréal e mi ha proposto di fare l’amministratore delegato di L’Oréal Italia. La filiale italiana versava in condizioni difficili, la sfida era costruire un team e fare un turn-around di vendite e di fatturato”.

Quindi ha accettato perché era difficile?

Diciamo di si. Io da giovane facevo la volontaria sulle ambulanze. Volevo recuperare qualcosa in perdita e farla rinascere. Sono fatta per affrontare le situazioni complesse e fare di tutto per provare  risolverle. E ci sono riuscita: in 4 anni l’azienda è entrata nel retail, abbiamo investito in trasformazione digitale e lanciato nuovi prodotti e categorie di merce. Avevo 39 anni quando sono arrivata, ma l’annuncio ufficiale l’ho fatto al mio quarantesimo compleanno. Sapevo che in Italia sarei stata più credibile a 40, che ha 39.

Mi spieghi meglio.

È una battuta, ma onestamente credo ci sia del vero. L’Italia non è un Paese che offre pari opportunità a tutti, tende a penalizzare molto le donne e i giovani. Lo dico sempre con una punta di amarezza, ma dubito che in Italia avrei avuto le stesse opportunità che ho avuto quando avevo 20 anni. Le aziende italiane che investono sui giovani sono l’eccezione più che la regola.

Poi da L’Oreal passa a Kiko.

Cominciavo a sentirmi un po’ il ‘co-pilota’, perché in genere l’Ad di una filiale specifica non fa propriamente l’amministratore delegato. Io infatti mi occupavo unicamente dell’Italia, non partecipavo alla definizione delle strategie o agli incontri con banche e azionisti. Il mio sogno era diventare un amministratore delegato ‘vero’, fare il pilota. Perciò ho lasciato un’azienda grande come L’Oréal per approdare in una più piccola come Kiko. Anche stavolta avevo il compito di rilanciare l’azienda. Ebbene, il 14 febbraio del 2020 ho annunciato in Cda che in soli due anni avevamo fatto il turn-around. I festeggiamenti però sono durati poco: dopo 10 giorni è iniziata la pandemia Covid, per noi che facevamo retail il mondo è cambiato. In una settimana ho messo in cassa integrazione 8mila persone e ho capito la differenza fra co-pilota e pilota. Ho realizzato che fare l’Ad non vuol dire ‘esercitare potere’, ma ‘prendersi cura delle persone a te affidate’. Nonostante tutto, nel 2021 siamo tornati a crescere: in quei 2 anni abbiamo assunto 100 persone a Bergamo, città simbolo della pandemia. La missione era compiuta, avevo bisogno di nuove sfide. Ed è arrivata Illy Caffè.

Illy Caffè non andava male.

Ma aveva l’ambizione di entrare in Borsa. Da 3 anni facevo parte del cda dell’azienda, poi Andrea Illy mi ha offerto di iniziare un ciclo che portasse Illy in Borsa. Non avevo mai quotato un’azienda, mi sembrava un’idea stimolante. Le ricordo che su 100 amministratori delegati in Italia solo il 3% è donna e nessuna – o pochissime – hanno una quotazione in Borsa. Per questo ho detto sì e oggi sono l’Ad.

 

La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di luglio-agosto 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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