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Il lavoro ibrido è davvero la soluzione migliore?

Il lavoro ibrido è stato venduto come ‘il migliore tra i due mondi’: quello in presenza e quello da remoto. Un compromesso tra i manager che spingono per un ritorno in ufficio e i lavoratori che non vogliono rinunciare alla loro flessibilità.
È in parte il motivo per cui il lavoro ibrido domina tra quei lavoratori che hanno la possibilità di lavorare anche da casa. Ma c’è uno svantaggio in questa modalità, che ai più sembra eccezionale. Darren Murph, responsabile del lavoro da remoto presso la società di Software GitLab, in una recente intervista a NPR, ha definito questo svantaggio: “hybrid guilt”, ossia “colpa ibrida”; la sensazione che emerge quando chi lavora da remoto sente di dover andare in ufficio. 
Man mano che le aziende implementano sempre più politiche ibride, i lavoratori hanno iniziato a valutare quale sia la nuova norma sociale, chiedendosi se stiano andando abbastanza in ufficio. Questo perché, come rilevato da un sondaggio di Gallup a Marzo, la quantità di tempo che i lavoratori ibridi trascorrono in ufficio varia.

La maggior parte dei lavoratori ha dichiarato che trascorre in ufficio la metà del tempo (38%), ma il 29% ha detto che si reca in ufficio “a volte”. Murph spiega che la soluzione a questo fenomeno è puntare tutto sul lavoro a distanza o in ufficio, in modo che tutti abbiano pari opportunità sul posto di lavoro. La discussione sul ritorno in ufficio è troppo incentrata sul “luogo”, aggiunge. La domanda da porsi non dovrebbe essere “in che luogo fisico lavorano le persone?”, ma “il lavoro funziona?”

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore

Murph trova un complice in questo pensiero in Jeremy Stoppelman, Ceo di Yelp dalla mentalità simile, che in un’intervista al Washington Post ha definito il lavoro ibrido “l’inferno delle mezze misure”. Ha detto che il lavoro ibrido manca di direzione, portando alcuni lavoratori a fare il pendolare in un ufficio praticamente vuoto. È per questo che ha reso Yelp un’azienda che lavora completamente da remoto.

Gli studi rilevano che il lavoro ibrido è efficace, con i dipendenti che riportano livelli di produttività e coinvolgimento maggiori rispetto a quelli che lavorano completamente da remoto o di persona. Ma una ricerca del 2015 rileva che i lavoratori a distanza non ricevono promozioni alla stessa velocità delle loro controparti in ufficio, nonostante prestazioni più elevate.

La discrepanza è il risultato di un pregiudizio di prossimità sul posto di lavoro, in cui i capi tendono a equiparare i lavoratori in presenza come lavoratori con più successo. Come indica la ricerca, è un fenomeno che esiste da un po’ di tempo, ma la pandemia l’ha portato in auge.

È particolarmente problematico per i dipendenti di gruppi emarginati, che sono più restii ad entrare in ufficio perché temono microaggressioni. Alcuni studi hanno scoperto che le persone di colore e le donne sono spesso più felici di lavorare a casa. Secondo un sondaggio di Future Form, in particolare, i lavoratori di colore hanno sentito un maggiore senso di appartenenza e capacità di gestire lo stress non appena hanno iniziato a lavorare da remoto.

Ma il pregiudizio sulla presenza fisica sul posto di lavoro fa sì che chi va in ufficio sia più apprezzato.

Secondo il rapporto Women @ Work 2022 di Deloitte, la maggior parte delle lavoratrici (94%) è  preoccupata nel chiedere un lavoro più flessibile, temendo che influisca sulle possibilità di promozione. E il 60% delle intervistate è preoccupato di perdere riunioni importanti e conversazioni informali quando lavora in base a una pianificazione ibrida.

Poiché il lavoro ibrido rischia di rendere il posto di lavoro più iniquo, potrebbe essere, nelle parole di Stoppelman, il “peggiore dei due mondi”.

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com 

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