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Play, alla Reggia di Venaria il videogioco diventa arte

La Reggia di Venaria a Torino è stata la residenza di campagna dei Duchi di Savoia, che qui amavano dedicarsi al loisir, il mero divertimento. Da questa antica vocazione della Reggia, che festeggia quest’anno i 15 anni di apertura al pubblico, è nata l’idea di dedicare il palinsesto di mostre ed eventi del 2022 al tema del Gioco. Fra le attività in programma, la mostra Play – Videogame arte e oltre, curata da Guido Curto, Direttore del consorzio delle residenze reali sabaude, e Fabio Viola, game designer e fondatore del collettivo artistico ‘TuoMuseo’. La mostra resterà aperta al pubblico fino al 15 gennaio 2023.
“La mostra Play nasce per porre domande, più che per fornire risposte” sostiene Fabio Viola, che a Fortune Italia ha raccontato i dettagli di questo evento, unico nel suo genere, dedicato agli amanti dei videogame, ma non solo.

Come nasce l’idea di questa mostra?
La Reggia ha dedicato quest’anno al tema del gioco, è stata una scelta curatoriale generale, che comprende eventi, conferenze, più legate al tema del gioco nelle corti sabaude.
Partendo da questo frame, hanno chiesto a me di ragionare sul tema video gioco, che è probabilmente l’espressione massima del gioco contemporaneo. L’obiettivo della mostra è quello di riflettere sulle implicazioni quotidiane che il gioco ha. In realtà la Mostra vuole rispondere ad una grande domanda: i videogiochi rappresentano la decima arte? L’evento quindi non è pensato solo per chi ama i videogiochi, perché si gioca poco, ma è molto legato al far comprendere il videogioco come lente per guardare al contemporaneo.

Opere d’arte si accompagnano ai  video giochi, nei 1.000 mq di percorso espositivo.  Come sono state scelti questi particolari “abbinamenti”?
Abbiamo svolto un lavoro di ricerca, per comprendere le influenze delle nuove forme d’arte rispetto alla decima, i videogiochi, appunto. I creatori di videogiochi non sempre immaginano qualcosa di nuovo, ma spesso si lasciano ispirare, e partendo da questi assunti abbiamo individuato, nelle prime due sale, delle fonti di ispirazione, De Chirico che ha influenzato il gioco Ico, così come il gioco Rez si sipira a Vasilij Kandinskij. Tutte influenze dichiarate dagli stessi creatori dei videogiochi. Non sono quindi accostamenti forzati, o arditi. Per la prima volta al mondo sono state affiancate opere d’arte originali e videogiochi, in una operazione di dialogo provocatoria.

Cosa sono i video giochi, letti nel contesto contemporaneo?
Per qualcuno sono un passatempo, in molti non hanno mai giocato. Ma la tesi che si sostiene nella Mostra ci dice che, in realtà, il ventunesimo secolo è già il secolo del gioco. Nelle aziende, nella pubblica amministrazione, il tema del coinvolgimento è entrato pesantemente, è ormai evidente che chi conosce gli strumenti del gioco potrà leggere più agevolmente i cambiamenti politici, culturali e sociali.  Il videogioco va quindi inteso come spazio identitario, politico, di mitologia contemporanea, ed è per questo che ogni sala della mostra ci da una chiave di lettura utile a comprendere il presente.

La Mostra si articola in dodici sale tematiche, qual è la tua preferita?
Dal punto di vista dell’allestimento, le mie preferite sono Play_World e Play_HomoLudens, la prima e l’ultima. Play_World è tutta specchiata, qui è dove poniamo delle domande al visitatore. Le stesse domande che abbiamo fatto a casalinghe, pensionati, ragazze e ragazzi, che in un video che viene mostrato in dodici display presenti nella sala raccontano cos’è per loro il videogioco,. Nell’ultima sala, invece, abbiamo ricostruito i quattro ambienti spaziali in cui si è evoluto il videogioco, dalle sale giochi degli anni ’80, alle stanzette degli anni ’90, ai soggiorni dei giorni nostri, fino ad immaginare scenari futuri di fruizione dei giochi.

Sono tre miliardi i giocatori nel mondo, in Italia di che numeri parliamo?
Ci sono stime che collocano i giocatori italiani fra ai 15/17mln. Rispetto a ciò che accadeva negli anni ’70, oggi il fenomeno è abbastanza trasversale, si va da una fascia prescolare, che fruisce il gaming tramite lo smartphone dei genitori, fino agli over 40, che rappresentano una delle fasce principali di gioco.

Conoscere l’arte attraverso il gaming. Lei è stato fra i primi a proporre questa lettura della fruizione del patrimonio artistico. Come nasce questa intuizione?
Io credo nell’ibridazione fra mondi lontani, c’è un grande valore nel fondere competenze, tipologie di persone diverse fra loro. Musei e videogiochi non si parlavano, si guardavano in cagnesco, ma con ‘TuoMuseo’, che ho fondato nel 2014, volevo dimostrare come i videogiochi potessero contribuire al coinvolgimento nell’arte, trasferendo con un linguaggio nuovo i contenuti del passato. Allo stesso tempo abbiamo contribuito a comunicare che i videogiochi sono una forma d’arte, arte su una tela digitale. La mia prima esperienza, in questo senso, è stata quella di Father and Son, realizzata con il Museo Archeologico nazionale di Napoli nel 2017, ed è stato solo l’inizio.

I video game stanno contribuendo al passaggio dallo Storytelling allo Storydoing, ci racconti di questa evoluzione.
Una delle caratteristiche distintive del gioco come forma d’arte è la possibilità che il pubblico ha di agire all’interno dell’opera. Nel videogioco la scelta è demandata ai giocatori, che influenzano l’evoluzione e il finale del game. In altre parole, non solo il giocatore recepisce un’esperienza scritta, ma compie azioni e tuning nella storia, alterandola, e questa è una caratteristica, tipica del videogioco, che sta contaminando il ventunesimo secolo, con un pubblico che è sempre più abituato ad essere parte attiva delle narrazioni.

Qual è il ruolo degli Nft – Non fungible token, nella mostra dedicata al gioco digitale?
C’è un presidio nella sala Play_Art, la quarta, in cui abbiamo un Nft di Federico Clapis (già 40under40 di FortuneIta, ndr), un simbolo dell’arte digitale. C’è uno smottamento nel mercato dell’arte che ora fa a meno di curatori e galleristi. Con gli Ntf l’arte è prodotta dall’artista e poi direttamente acquistata dal pubblico. Questo sta accadendo anche nel campo dei videogiochi, in cui stanno entrando gli Nft.  Il pubblico non si limita ad acquistare il gioco, perché il personaggio può poi essere venduto come un Nft. È il play to earn – giocare per guadagnare.

La mostra celebra anche Warhol, come padre della computer art, e presenta in anteprima dei suoi lavori digitali ritrovati dopo la sua morte.
L’abbiamo introdotto in mostra, a rappresentare il passaggio dalle arti tradizionali alle play art, dove mostriamo come i videogiochi stanno inspirando i temi del contemporaneo. In pochi ricordano che, poco prima di morire, fra il 85/86 Warhol si ritrovò ad essere testimonial dell’Amiga1000. Entrò in contatto con questo computer, iniziò a lavorarci e privatamente realizzo disegni digitali, fatti con paint dell’epoca e mouse, non c’erano neanche le tavolette grafiche. Questi disegni andarono perduti, per poi essere ritrovati su un floppy disc. In mostra abbiamo la prova che Warhol fu uno dei primi artisti digitali.

L’immagine che identifica la mostra Play è stata realizzata, essa stessa, da un artista.
Sì, è Silvio Giordano. Trattandosi di una mostra complessa, non solo di videogiochi ma con importanti richiami all’arte, ho pensato fosse riduttivo utilizzare l’immagine di un gioco, seppur iconica come ad esempio il Tetris. E ho voluto quindi  coinvolgere un artista per questo progetto. Silvio lo conosco e stimo da tempo, lui si muove fra la pop culture ed ha una profonda conoscenza delle tecniche artistiche tradizionali, la persona giusta a cui affidare questa sfida. Che Silvio ha accettato creando Hiro, che è diventata l’immagine della mostra, e stiamo sviluppando anche dei discorsi che declinano Hiro nel tema del digitale.

Quali sono i suoi progetti futuri?
In programma c’è un’altra mostra, che si inaugurerà a fine ottobre a Lucca, e altri progetti legati alla valorizzazione di beni culturali, in particolare stiamo lavorando a dei sistemi di archiviazioni coinvolgenti, come il museo collettivo.

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