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Cina, nuova potenza dei mercati finanziari (e non solo)

Cina

La fase uno ha avuto inizio 20 anni fa, con l’adesione al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. La fase due è arrivata quando il Giappone è stato surclassato come seconda economia mondiale nel 2010. Adesso, mentre Pechino si prepara al 20.mo Congresso del Partito comunista (il 16 ottobre), la Cina è nel pieno della ‘fase tre’ del proprio sviluppo?

Il ruolo di primo piano degli Stati Uniti come unica forza dominante nel sistema finanziario globale sta cambiando. E la Cina è pronta a prenderne il posto.

Se ci proiettiamo non troppo indietro nella storia, esattamente alla metà del secolo scorso, il peso della Cina nell’economia mondiale non era così influente. L’era maoista (dalla fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949 alla morte di Mao Tse Tung nel 1976) è stata un’epoca caratterizzata da condizioni estremamente difficili sotto ogni punto di vista.

La Cina si trascinava dietro gli effetti di 25 anni di lunghe e travagliate vicende belliche: dalla guerra civile fra nazionalisti e comunisti – interrotta per far fronte comune all’aggressione nipponica (e ripresa dopo la vittoria nel secondo conflitto mondiale) – fino allo scoppio della guerra di Corea contro gli Stati Uniti, nel 1950.

Nelle ultime due decadi, il Paese asiatico è salito alla ribalta. Avanzando verso ‘la terza fase’: con un trend di recupero che lo ha avvicinato agli Stati Uniti. Come è potuto accadere?

“Il rimbalzo della terza fase è cominciato già nel 2008”, ha spiegato Simone Pieranni – giornalista esperto di Cina e co-fondatore di China Files – a Fortune Italia.

“La Cina, percependo l’impatto della Grande Recessione, ha intuito che doveva necessariamente passare da un modello di produzione impostato sulla ‘fabbrica del mondo’ (che si mantiene viva ancora oggi) a uno basato sull’esportazione di prodotti di alta qualità: soprattutto tecnologici”.

Questo aumento della produttività, ha continuato a spiegare Pieranni, unitamente alla strategia della ‘doppia circolazione’ (così definita dal presidente cinese Xi Jinping, che ambisce all’autosufficienza della Cina nel lungo termine nelle risorse e nella tecnologia) “ha giocato un ruolo fondamentale nell’avanzata cinese”.

Negli ultimi anni, la Cina è in effetti diventata un’osservata speciale da parte degli analisti economici.

Anche la pandemia – e i lunghi lockdown di Shanghai- non hanno frenato (e neppure offuscato) la sua trainante potenza a livello globale.

A conferma di ciò, un progetto di ricerca congiunto che coinvolge ben cinque università – la Ca’ Foscari di Venezia, la Goethe University di Francoforte, il Massachusetts Institute of Technology, l’University of Massachusetts ad Amherst e l’Università di Stoccolma – attraverso lo studio dei dati di negoziazione di borsa minuto per minuto, ha evidenziato come la Cina si stia affermando come seconda potenza di mercato, chiave nel definire le dinamiche nei centri finanziari di tutto il mondo.

E le considerazioni principali sono nate proprio durante quello che sarebbe dovuto essere il periodo più complicato e che invece ha contribuito ad accelerare alcuni trend strutturali: il primo anno di Covid-19.

Monica Billio, ricercatrice italiana del team (Università Ca’ Foscari di Venezia) ha dichiarato a Fortune Italia che la crescita della Cina avrebbe potuto avere uno stop con la pandemia. Ma non solo questo non è avvenuto: “Gli effetti esterni – e quindi sull’Europa – di politiche come la zero Covid sono stati maggiori come intensità rispetto a quelli interni”.

La parte principale dell’analisi si era concentrata sulla fine 2020, “quando la politica zero Covid in un certo senso agevolava la Cina”.

“All’epoca la contagiosità era sotto controllo. Il tema è diventato un po’ diverso soprattutto con quello che è successo nel 2022, perché la contagiosità è stata più elevata e difficile da gestire, e ciò ha portato a interruzioni e lockdown molto seri, che però spesso hanno inciso più sulle catene globali di approvvigionamento che non direttamente in Cina“.

Attraverso un’indagine di lungo periodo, strutturale, sui vent’anni complessivi del movimento di crescita cinese, il team di ricercatori ha registrato il riverbero di questa nuova potenza sui mercati finanziari.

I risultati hanno mostrato che la Cina, con l’introduzione dei dazi statunitensi sulle importazioni cinesi nella primavera del 2018, ha assunto almeno una posizione di parità con gli Stati Uniti come potenza economica. E questa situazione è stata ulteriormente rafforzata dall’inizio della pandemia nella primavera del 2020.

Secondo alcune previsioni, la Cina supererà definitivamente gli Stati Uniti come potenza economico-finanziaria entro il 2028.

“Noi non possiamo averne certezza. La nostra è una visione molto legata ai mercati finanziari”, ha chiarito Billio. “Ci sono una serie di considerazioni che portano a rivedere ogni possibile previsione: Covid, crisi energetica, guerra. Anche in questo caso, l’ultima crisi in corso sta avendo effetti soprattutto sull’Europa. Dunque non va sottovalutato come la crescita cinese avrà un impatto soprattutto sull’Ue, prima che sugli Stati Uniti. Favorendo anche altri attori che sul mercato finanziario non vediamo ma che nella pratica ci sono, come l’India“.

Inoltre, ha precisato Billio: “Le dinamiche energetiche incideranno molto. É tutto da verificare: questi anni ci hanno abituati a non sorprenderci e le risposte le fornirà il tempo. Ogni tanto però, sarebbe bello farci trovare preparati. Per questa ragione la nostra ricerca evolverà”.

Intanto si avvicina la data del Congresso del Partito comunista. E anche secondo Pieranni, l’Europa in questo preciso momento dovrebbe tenere gli occhi aperti.

Verrà tracciato il percorso che Pechino intraprenderà almeno per i prossimi 5 anni, con tutto quel che ne conseguirà in termini politici, militari, economici e commerciali. In un intreccio di cause ed effetti che coinvolgerà tutti i protagonisti sullo scenario internazionale.

“Bisognerà vedere – dando per scontato che Xi Jinping manterrà tutte le cariche – chi sarà il premier e quindi chi sarà all’interno di quegli organi deputati a negoziare con il resto del mondo. Il rapporto Cina-Ue è in una delle fasi più basse della sua recente storia di relazioni economiche e commerciali. Con l’Europa dell’Est, dove la Cina ha lavorato moltissimo negli ultimi anni, sono sorti problemi: ci sono stati pochi investimenti e quelli che ci sono stati sono andati male. Con il resto dell’Europa c’è stata una rottura molto forte sulla questione della guerra in Ucraina. Una volta saputo chi sarà il premier e come la Cina imposterà il suo rapporto con gli Stati membri, sarà più chiaro per noi il reale significato del Congresso e le sue conseguenze”.

É probabile, conclude Pieranni, “che Pechino voglia tenere una porta di collaborazione con l’Europa, e lo dimostrano le ultime posizioni critiche della Cina sull’escalation militare russa”.

Questo rappresenterebbe naturalmente un vantaggio sul fronte economico per l’Occidente.

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