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La tua azienda aiuta il pianeta? Andrew Winston e le imprese Net Positive

Negli anni della crisi climatica, le domande che ogni imprenditore dovrebbe farsi sono semplici: la mia azienda sta aiutando il mondo? Il mondo è un posto migliore grazie alla mia impresa? Se la risposta è no (e considerata la sfida climatica, è molto spesso ‘no’) allora ci sono degli step da seguire per cambiare le cose, secondo Andrew Winston. E per crescere (e guadagnare) mentre si risolvono i problemi del mondo. Winston è un esperto di business sostenibile, un business che prospera inseguendo gli obiettivi di Sdg e difendendo l’ambiente. Il suo libro più recente, Net Positive, è stato nominato uno dei migliori libri di business dell’anno dal Financial Times ed è pubblicato in Italia da Hoepli.

Winston è anche uno dei relatori del World business forum di novembre che si terrà a Milano l’8 e 9 novembre.

 


Andrew, cos’è un’azienda Net Positive? Nel libro dici che ci vuole un’azienda coraggiosa per affrontare la crisi climatica e le disuguaglianza economiche. Quali sono i passi da seguire per esserlo?

Inizio dicendo il nome del mio co-autore, che è Paul Polman, ex Ceo di Unilever per anni, e uno dei maggiori Ceo di grandi aziende quotate che cercano di portare la sostenibilità nel mondo del business. Questo libro è stato uno sforzo comune per dire ‘cerchiamo di portare il business a un livello diverso’, e le aziende Net Positive sono quelle che crescono e guadagnano risolvendo i problemi del mondo, non creandoli, e aumentando il benessere di chiunque coinvolgano. La domanda è ‘la tua azienda sta aiutando il mondo? Il mondo è un posto migliore grazie alla tua azienda?’ Vediamo questa azienda come una che parte dal suo ‘core purpose’, che è un grande argomento nel mondo degli affari (e per buone ragioni). Nel libro cominciamo dal purpose personale, che come leader e manager devi avere, con consapevolezza sul motivo che ti spinge a fare quello che fai. Questo va fatto insieme a un’altra serie di azioni interne all’azienda per poter avere la giusta leadership: formare i giusti leader, costruire i giusti obiettivi che aiutino a tenere in considerazione il mondo esterno, la creazione di fiducia e trasparenza. Ma un concetto importante è la costruzione di partnership e cercare di risolvere problemi sistemici molto grandi con delle partnership con i competitor, con le Ong, i governi. È così che costruisci la cultura della risoluzione di problemi. Invece di fare domande del tipo ‘come decarbonizziamo il nostro business? E se costa di più?’, devi vedere i motivi per cui costa di più, qual è l’ostacolo da superare, e chi bisogna chiamare per superarlo. Quindi si comincia da una prospettiva di sistema, cosa può essere un’azienda nel mondo, e come si può migliorare la vita delle persone.

Parli di purpose a me viene in mente il Purpose trust di Patagonia. Conosciamo tutti la notizia del founder e della ‘donazione’ a una non profit per la difesa dell’ambiente (anche se con il Trust la famiglia ha ancora potere di voto e avranno ancora una voce forte in azienda). Nel tuo libro tu e Paul Polman parlate di aziende che restituiscono più di quanto prendono: è così in questo caso? Altri seguiranno?

Patagonia è stata leader della sostenibilità a lungo. C’è un sondaggio chiamato Globe Scan dove viene chiesto agli esperti della sostenibilità quali sono le migliori aziende. Unilever è stata al primo posto per anni, e sul podio ci sono sempre Patagonia e Ikea, e ci sono altre come Microsoft e Google. Patagonia è stata un esempio, a Yvon Chouinard è stato chiesto di lavorare con Walmart per tanti anni, e ha sicuramente incontrato Paul, il mio coautore. Hanno un purpose e una mission precisa, che li ha portati a fare prodotti che hanno bisogno di materiali e produzione, ma hanno sempre questa mission chiara di cercare di risolvere grandi problemi. Non li hanno risolti tutti ma usano materiali riciclati, energia rinnovabile, sono entrati nel business del food per il travel e le attività outdoor, e lo prendono da agricoltura rigenerativa con il sequestro di carbonio, quindi la loro mission è quella di un impatto positivo nel mondo. Non penso lo facciano ancora perfettamente in qualsiasi dimensione, e nessuno può dire di farlo: ci sono molte sfide ancora da risolvere. Ma Patagonia è stata un esempio e sono tra le poche che hanno costruito questo ‘core’ etico sin dall’inizio.

Pensi che questa azione sia necessaria anche in futuro? Non riesco a immaginare altre aziende che facciano esattamente lo stesso con i loro profitti.

Quello che ha fatto Chouinard in questo caso è dire ‘ho 80 anni, devo far sapere cosa succederà a questa azienda quando non ci sarò’. Stanno costruendo questo Trust, che non credo sia ancora pronto. Ha sempre puntato sulla sostenibilità ma non credo che prima sia mai stato fatto in maniera così strutturata, così che nessuno possa cambiare la decisione in futuro. Quindi non l’azienda non diventa una nonprofit, ma tutti i profitti andranno verso la difesa del pianeta e del clima. Non so se altri ricchi proprietari faranno qualcosa del genere, penso che probabilmente in molti casi lo faranno, mentre le aziende quotate probabilmente non possono fare lo stesso. Ma la risposta alla questione più generale, quella del seguire una strada verso la sostenibilità, è naturalmente sì, dobbiamo e ci sono molti motivi per farlo. Le dimensioni dei problemi che affrontiamo, soprattutto nel clima, e nelle diseguaglianze, fanno sì che le aziende non penso possano prosperare o essere rilevanti se non risolveranno problemi e non aiuteranno il mondo a migliorare.

Penso che altrimenti le aziende non potranno innovare e dare ai consumatori i prodotti che vogliono, e soprattutto come faranno ad attrarre e trattenere i talenti, quando millennial e Gen Z vogliono un purpose. Nei sondaggi grandissime percentuali dicono che vogliono lavorare per un posto che abbiamo una mission e un purpose. Già solo questa è una ragione per farlo.

La maggior parte degli analisti afferma che stiamo affrontando una recessione economica, con l’inflazione che è una delle cause principali: in che modo la sostenibilità delle aziende ne sarà influenzata?

È interessante: durante l’ultima grande recessione del 2008 (senza contare la pandemia) ho scritto un piccolo libro chiamato Green recovery, perché il mio publisher Harvard Press mi ha detto ‘perché non racconti per quale motivo il green conta poco’, quando ancora si parlava di ‘green’ e non di Esg, anche se l’idea di base era la stessa. La logica era semplice: molte delle cose che faresti per diventare più sostenibile ti aiuterebbero anche in una recessione, perché diventi più efficiente. Ci sono molte sacche di valore, e una di queste è la riduzione dei costi, che aiuta in un momento in cui aumentano le spese: vuoi ridurre i materiali nella tua catena del valore, vuoi progettare cose meno ‘material intense’, usando meno energia o edifici più efficienti. Penso che alcuni aspetti siano più difficili da governare. Come prendersi cura delle persone in un momento in cui le grandi aziende cercano di pagare stipendi adatti al costo della vita, con i salari che intanto aumentano per l’inflazione. Questo ha effetti positivi perché quando aumentano i salari minimi ci sono più persone nell’economia, e questo è buono per le aziende, ma l’effetto è anche l’aumento dei costi. Non penso si possa tornare indietro su questo, dopo i cambiamenti tra aziende e dipendenti durante la pandemia, cambiamenti da contratto sociale, per alcuni aspetti. Quindi sì. Ci saranno cose che costeranno di più, e la sostenibilità ti aiuta a superare periodi del genere, limitando l’uso delle risorse e anche aiutando a costruire le relazioni con gli stakeholder che ti danno una mano nei momenti difficili. Penso che molte aziende sostenibili abbiano attraversato meglio la pandemia, avevano un network migliore di cui si potevano fidarsi.

La finanza Esg (environment, social and governance) prometteva di essere una spinta al capitalismo degli stakeholder, ma ora qualcuno, come Elon Musk, parla di truffa. È così?

Dovremmo distinguere. Il linguaggio nella sostenibilità si è un po’ sporcato, Esg è diventato il termine dominante perché lo usa il mondo finanziario, ma è molto diverso l’Esg usato dalla finanza: serve a capire quanto è rischioso l’investimento in un’azienda, quanto è pronta alla sfida ambientale e come viene colpita dai rischi materiali, ma è un mondo diverso dal mondo corporate, dove Esg significa la strategia sostenibile usata dalle aziende, non parliamo della stessa cosa. Non dovremmo essere stupiti dal fatto che il mondo finanziario ha un punto di vista particolare sulle cose, non sempre aderente alla realtà. La Borsa non riflette esattamente dove si trova un’azienda in termini di successo commerciale, non è mai stato così. Tesla è un esempio: nella Borsa vale di più di tutte le altre grandi aziende [dell’automotive] messe insieme, che è abbastanza buffo. Significa quasi che Gm e VW e Volvo secondo il mercato non possono trovare un modo di vendere macchine elettriche. Lo stock market non è perfetto. Musk dice molte cose strane, ma su questa questione dei rating Esg penso abbia abbastanza ragione. Si lamenta che un’azienda come Exxon ha un buon rating e Tesla sia stata esclusa. È abbastanza ridicolo, anche se in questo caso ha pesato l’aspetto della G di Esg, la governance di Tesla, perché fa cose che non si dovrebbero fare se sei un Ceo. Ma Exxon ha passato 40 anni a rallentare l’azione contro il cambiamento climatico, per mom non dovrebbero mai essere in cima a qualsiasi cosa che abbia ‘ambiente’ nel nome, non sono dei leader. Ma ancora, parliamo di come gli investitori misurano il rischio, non di cosa rappresenta questa azienda per il mondo. E nessuno ha fatto quello che hanno fatto Elon Musk e Tesla per i veicoli elettrici, quindi quel rating particolare aveva ragione e dovrebbe farci guardare a come questi rating vengono costruiti. Non penso sia una ‘truffa’, ma penso che sia anarchia in questo momento, nessuno sa come si misurano queste cose. Ma ci vuole tempo per capire quali sono le metriche giuste e ci sono persone che ci stanno lavorando abbastanza velocemente.

 

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