QUELLO DELL’ENERGIA , in Italia è il tema dei temi. Per molti anni, secondo il famoso aforisma di Ennio Flaiano, è stato trattato come un tema grave ma non seriamente, o almeno non abbastanza.
Ora si vedono finalmente le questioni energetiche diventare, con ritardo, il cuore delle strategie per il futuro del Paese. Come se prima non si fosse mai compreso l’ovvio, ovvero il fatto che la produzione di energia è il cuore di tutto: dal riscaldamento all’aria condizionata, alla produzione delle imprese manifatturiere, ai trasporti, all’alimentazione dei sistemi elettronici.
La triste, tremenda, guerra in Ucraina e la conseguente crisi hanno imposto una nuova agenda fortemente incentrata sul tema energia, ma devo testimoniare che durante gli ultimi venti anni, quindi ben prima del conflitto, gli utilizzatori nonché pagatori delle bollette hanno manifestato alla politica in ogni forma possibile la necessità di un diverso assetto strutturale del Paese per l’approvvigionamento dell’energia, con proposte su produzione nazionale e importazioni sia in tema di energia elettrica che di gas. I temi che oggi inondano le pagine dei giornali e paiono nuovi, in realtà hanno risuonato nei corridoi dei ministeri, nelle audizioni in Parlamento e negli incontri tra politica e industria, organizzati e animati dai lobbisti di tutti i fronti. La continua denuncia ha trovato purtroppo poco ascolto, a parte – negli ultimi anni – per il tema del differenziale di prezzo pagato dalle imprese, che altro non è che il risultato di una storica mancanza di una strategia energetica.
Purtroppo i ‘tempi del ragionamento politico’ sono stati mangiati dalla ‘e-comunicazione’ e conseguentemente l’uomo politico ha molto accorciato la ‘portata’ del pensiero privilegiando scelte di breve termine: gli effetti di lungo termine delle decisioni non hanno interessato più nessuno, ci si è misurati a colpi di tweet. Basti pensare che abbiamo rischiato di non avere il Tap.
In tema di rinnovabili abbiamo pagato caro norme scritte male e una corsa non ragionata all’installazione selvaggia, fattori che hanno portato l’energia elettrica per le imprese a costi insostenibili per competere sui mercati.
I dati dell’Autorità per l’Energia sono chiari: le imprese (di più) e i cittadini hanno versato oltre 100 mld di euro per incentivare male le rinnovabili nel decennio 2010-2019. È stata un’occasione persa, aver drenato così tante risorse e averne lasciato la percentuale più grande ai produttori di sistemi e ai finanziatori esteri. Errore che altri Paesi non hanno fatto, attrezzando una filiera a valle.
Anche l’Italia avrebbe potuto adottare una visione di sistema al momento in cui si è deciso – cosa giusta – di incrementare progressivamente la produzione da fonti rinnovabili, delineando così un business plan sul quale i gruppi di interesse si sono gettati a capofitto, spolpando l’Italia di tante risorse e al contempo minando la competitività delle aziende.
In tema di gas, se si andassero a vedere le memorie depositate dagli utilizzatori di energia negli anni presso ministeri e Parlamento, in favore di rigassificatori e gasdotti alternativi, oltre che del gas nazionale, si troverebbero le proposte che avrebbero messo l’Italia nella condizione di essere, in questa crisi, un hub sicuro per rifornire buona parte dell’Europa.
Per i gruppi di interesse quello energetico è un dossier fondamentale, ma è soprattutto un tema cruciale che il Presidente del Consiglio Meloni, il consigliere Cingolani insieme ai ministri Pichetto Fratin e Urso dovranno gestire con cura, ascoltando i gruppi di interesse con una visione di lungo termine, pensando alle future generazioni.
*Fondatore e Managing director di Strategic Advice