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Lobbying ed energia: il punto di vista di Gabriele Cirieco

QUELLO DELL’ENERGIA , in Italia è il tema dei temi. Per molti anni, secondo il famoso aforisma di Ennio Flaiano, è stato trattato come un tema grave ma non seriamente, o almeno non abbastanza.

Ora si vedono finalmente le questio­ni energetiche diventare, con ritardo, il cuore delle strategie per il futuro del Paese. Come se prima non si fosse mai compreso l’ovvio, ovvero il fatto che la produzione di energia è il cuore di tutto: dal riscaldamento all’aria condizionata, alla produzione delle imprese manifatturiere, ai tra­sporti, all’alimentazione dei sistemi elettronici.

La triste, tremenda, guerra in Ucrai­na e la conseguente crisi hanno im­posto una nuova agenda fortemente incentrata sul tema energia, ma devo testimoniare che durante gli ultimi venti anni, quindi ben prima del con­flitto, gli utilizzatori nonché pagatori delle bollette hanno manifestato alla politica in ogni forma possibile la necessità di un diverso assetto strut­turale del Paese per l’approvvigiona­mento dell’energia, con proposte su produzione nazionale e importazioni sia in tema di energia elettrica che di gas. I temi che oggi inondano le pagine dei giornali e paiono nuovi, in realtà hanno risuonato nei corridoi dei ministeri, nelle audizioni in Par­lamento e negli incontri tra politica e industria, organizzati e animati dai lobbisti di tutti i fronti. La continua denuncia ha trovato purtroppo poco ascolto, a parte – negli ultimi anni – per il tema del differenziale di prezzo pagato dalle imprese, che altro non è che il risultato di una storica man­canza di una strategia energetica.

Purtroppo i ‘tempi del ragionamento politico’ sono stati mangiati dalla ‘e-comunicazione’ e conseguen­temente l’uomo politico ha molto accorciato la ‘portata’ del pensiero privilegiando scelte di breve termi­ne: gli effetti di lungo termine delle decisioni non hanno interessato più nessuno, ci si è misurati a colpi di tweet. Basti pensare che abbiamo rischiato di non avere il Tap.

In tema di rinnovabili abbiamo pagato caro norme scritte male e una corsa non ragionata all’installazione selvaggia, fattori che hanno portato l’energia elettrica per le imprese a costi insostenibili per competere sui mercati.

I dati dell’Autorità per l’Energia sono chiari: le imprese (di più) e i cittadini hanno versato oltre 100 mld di euro per incentivare male le rinnovabili nel decennio 2010-2019. È stata un’occasione persa, aver drenato così tante risorse e averne lasciato la percentuale più grande ai produttori di sistemi e ai finanziatori esteri. Er­rore che altri Paesi non hanno fatto, attrezzando una filiera a valle.

Anche l’Italia avrebbe potuto adottare una visione di sistema al momento in cui si è deciso – cosa giusta – di incrementare progres­sivamente la produzione da fonti rinnovabili, delineando così un business plan sul quale i gruppi di interesse si sono gettati a capofitto, spolpando l’Italia di tante risorse e al contempo minando la competiti­vità delle aziende.

In tema di gas, se si andassero a vedere le memorie depositate dagli utilizzatori di energia negli anni presso ministeri e Parlamento, in favore di rigassificatori e gasdotti alternativi, oltre che del gas nazio­nale, si troverebbero le proposte che avrebbero messo l’Italia nella condizione di essere, in questa crisi, un hub sicuro per rifornire buona parte dell’Europa.

Per i gruppi di interesse quello energetico è un dossier fondamen­tale, ma è soprattutto un tema cru­ciale che il Presidente del Consiglio Meloni, il consigliere Cingolani insieme ai ministri Pichetto Fratin e Urso dovranno gestire con cura, ascoltando i gruppi di interesse con una visione di lungo termine, pen­sando alle future generazioni.

*Fondatore e Managing director di Strategic Advice

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