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La professionalità non conosce crisi, Gianluca Comin parla di Comunicazione e Lobbying

COMIN & PARTNERS è, da anni, tra le più importanti agenzie nel mercato del Public Affairs e della Comunicazione corporate con fatturato e reputazione sempre ai massimi nono­stante il settore sia in continuo cambiamento.

Con Gianluca Comin – fondatore e presidente della società oltre che docente presso la Luiss ‘Guido Carli’ – proviamo a fare un’analisi a tutto tondo.

È il mercato del lobbying a non conoscere crisi o è la crescente difficoltà delle aziende ad alimentarlo?

Il nostro è un settore in continua evoluzione e innovazione. La lobby si trasforma in advocacy, utilizza linguaggi e strumenti della comunicazio­ne politica, entra in territori inesplorati come la gestione e risoluzione dei conflitti territoriali per la localizzazione e realizzazione di grandi infrastrut­ture, industrie e complessi residenziali.

In tutto questo noi ci siamo, con un gruppo di più di sessanta giovani professionisti tra Roma e Milano e con uno sguardo attento a ciò che accade all’estero. Parlando di lobbying in senso stretto, il settore è in costante crescita in Italia per almeno due ragioni.

Da un lato assistiamo sempre più allo svilupparsi di una cultura delle relazioni istituzionali nelle aziende italiane, dall’altro è nella natura stessa del nostro sistema politico istituzionale che va ricercata la causa della cre­scita del settore. In media, i governi italiani rimangono in carica poco più di un anno.

Servono dunque professionisti che sappiano navigare in questa instabi­lità che genera incertezza, analizzan­do gli scenari, raccontando i cambia­menti, definendo strategie.

Per questo il lobbying professionale, da distinguere dagli apprendisti stre­goni, è in crescita, perché aumenta la consapevolezza delle aziende circa la necessità di avere partner che stiano dentro questi processi e aiutino a interpretarli e, laddove possibile, anticiparli, non solo basandosi sulle relazioni ma soprattutto sulla cono­scenza delle materie.

Questa intuizione ci ha permesso ora di godere della reputazione che abbiamo e di essere coinvolti nelle partite più importanti del Paese.

Comin & Partners si presenta al mercato come una agenzia di consulenza strategica e comunica­zione istituzionale con un approc­cio integrato. È possibile separare il Public Affairs dal resto dell’attività?

Separare il Public Affairs dalle altre attività tipiche della comunicazione integrata è sicuramente possibile e sono molte le società di consulenza in Italia a condurre con successo questo tipo di lavoro. Anche Comin & Partners, per alcuni clienti, gestisce le sole attività di Public Affairs e Stakeholder Engagement. Ma la nostra scelta di creare una struttura di comunicazione integrata deriva da quello che è il passato mio e dei miei soci: da manager di azienda eravamo consapevoli della necessità di strutture che sapes­sero coniugare tutte le aree della comunicazione a 360 gradi, dal lobbying alle media relations, dalle strategie alla comunicazione digitale. In un mondo in cui la comunica­zione richiede sempre più un approccio integrato cre­diamo nell’efficacia di poter disporre di tutte le leve della comunicazione in maniera congiunta.

Le sensibilità di chi lavora a stretto contatto con i giornali­sti unite a quelle di chi opera con le Istituzioni è un valore aggiunto che premia e consente di raggiungere efficace­mente gli obiettivi posti dai nostri clienti.

La comunicazione politica si è evoluta nel corso degli anni: dai media alla rete e ora ai social network. Come ha influito, anche operativamente, questo cambio di paradigma?

L’evoluzione del contesto sociale, politico e dei media ha imposto la necessità di ripensare le attività di lobbying. Si parla di Lobby 2.0: nuove realtà tecnologiche e velocità di informazione hanno permesso ai lobbisti di approc­ciarsi in modo nuovo a questa professione, sia sul lato del monitoraggio e analisi sia su quello dell’advocacy. Ci sono insomma nuovi strumenti, perché non utilizzarli per aumentare l’attenzione dei decision maker su tematiche urgenti per la società e le imprese?

Il lobbying continua ad avere un’accezione negativa in alcuni ambienti. Paradossalmente, possiamo afferma­re che uno dei limiti del settore lobbistico sia quello di non saper comunicare se stesso?

Le relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi sono una realtà ormai imprescindibile in tutte le democra­zie pluraliste, caratterizzate da più centri di potere polariz­zati, dal riconoscimento di nuovi diritti economici e sociali e da nuove forme di partecipazione. In questo contesto, il lobbista coadiuva le Istituzioni e le amministrazioni nel processo di composizione degli interessi, offrendo un supporto e un apporto conoscitivo ai decisori (anche non eletti) funzionale ad interpretare i diversi contesti in cui viene applicata la legislazione e, dunque, ad adempiere al meglio alla ‘scelta pubblica’, in linea con i principi ricon­ducibili alla Carta costituzionale. Il lobbista è colui che, professionalmente e in maniera continuativa, rappresenta, a ogni livello, gli interessi, le posi­zioni e le proposte di soggetti privati verso il decisore pubblico, al fine di favorire un vantaggio o evitare uno svantaggio (di natura economica e sociale).

Si parla da tempo della necessità di regolamentazione dell’attività di lobby. È d’accordo?

Sono decenni che insisto che una legge è necessaria, come avviene in molti Paesi e a Bruxelles. Una regola­mentazione, un Albo, ci metterebbe nella condizione di distinguere i professionisti dai dilettanti occasio­nali. Oggi, se sei un bravo lobbista o meno, infatti, è il mercato a deciderlo. E se questo, da un lato, ha portato ad una sorta di ‘selezione naturale’ dei professionisti, dall’altro, ha offerto sempre più il fianco all’attività di va­riegate categorie di soggetti che, pur definendosi tali, non possono essere considerati lobbisti in senso stretto. L’assenza di una regolamentazione unitaria a tutti i livelli istituzionali ha rappresentato per il nostro Paese una lacuna troppo profonda: tale vulnus normativo, inevitabilmente, ha delegittimato non solo il ruolo dei portatori di interessi che agiscono secondo principi di eticità e traspa­renza, ma anche quello dei referenti pubblici che non sfruttano a proprio favore lo status di ‘decisore’ nei pro­cessi legislativi. Si può poi certamen­te affermare che i professionisti del settore non siano stati in grado di narrare le proprie attività e costruire la reputazione positiva del settore. La reputazione diventa oggi invece fattore cruciale per il lobbista, e man­tenere una buona reputazione richie­de una sempre maggiore trasparenza nelle relazioni e attività, e un report continuo del proprio lavoro.

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