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Governo, non buona la prima

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Il Governo Meloni non ha alternative in Parlamento, e neanche nel Paese. Nel Parlamento perché lo dicono i numeri, e perché sarebbe oggi impossibile riproporre schemi di unità nazionale o soluzioni tecniche. Nel Paese perché le opposizioni sono confuse e frammentate, non in grado di proporre una proposta di governo alternativo in eventuali elezioni politiche anticipate.

Dunque, che si sia votato o no per Giorgia Meloni e la sua coalizione, chiunque abbia a cuore gli interessi del Paese fa bene ad augurarsi che il Governo funzioni.

Era stato incoraggiante il tono scelto dalla leader di Fratelli d’Italia in campagna elettorale: prudente e misurato. Le sue comunicazioni al Parlamento per la fiducia avevano rafforzato questa sensazione.

Purtroppo non si può dire lo stesso per le sue prime mosse da Presidente del Consiglio.

Che un Governo di centro destra volesse dare un segnale di legge e ordine era nelle cose. Ma il modo in cui lo ha fatto con il decreto legge sui rave party è stato goffo, per non dire peggio. In nome di un’emergenza che nel frattempo veniva superata con le leggi in vigore, si interveniva con procedura d’urgenza sul codice penale, inventando un nuovo reato astruso e mal definito, prevedendo pene abnormi.

Allo stesso modo era prevedibile un giro di vite sull’immigrazione clandestina. Ma non che si dovesse concludere con il dirottamento di un paio di centinaia di migranti verso Tolosa al prezzo di far saltare i sia pur modesti accordi di riallocazione strappati con fatica ai partner europei. Tanto meno che si dovesse giungere a una situazione di grave tensione con la Francia, con cui pure abbiamo comuni interessi su rilevanti dossier in ambito Ue.

Quanto poi al tentativo di venir fuori dal cul de sac in cui ci siamo infilati prospettando una improbabile alleanza con Grecia, Cipro e Malta, neanche il più sprovveduto dei diplomatici avrebbe mai potuto prospettarlo. Da grande Paese fondatore dell’Unione a promotore dell’alleanza dei più deboli. Se non altro dovrebbe far riflettere la velocità con la quale la Spagna si è chiamata fuori.

Anche le scelte sul bilancio pubblico non sono entusiasmanti. Si spinge il deficit pubblico nel 2023 fino a quel 4,5% del Pil che molti considerano il massimo accettabile. In un contesto in cui nessuno può davvero sapere quale sarà il costo di gas e petrolio da qui a tre mesi. Con il risultato di disporre aiuti e sussidi che potranno rivelarsi eccessivi se il prezzo dovesse continuare a scendere, o di non aver riserve ulteriori utilizzabili nel caso il prezzo dovesse riprendere a salire. E avendo di fronte il ritorno nel 2024 delle regole di bilancio europee, che seppur riviste non potranno prescindere da quel limite del 3% fissato nei Trattati. Con ciò rendendo probabile la necessità di una brusca manovra di bilancio restrittiva che potrebbe giungere in una situazione congiunturale avversa. Ecco, quella prudenza utilizzata nelle promesse elettorali sarebbe stato meglio che Giorgia Meloni la utilizzasse fin da subito nella gestione del bilancio pubblico.

Rimane quel che si diceva in principio: bisogna continuare ad augurarsi che il Governo faccia bene. E ci sarebbe piaciuto poter dire “buona la prima”. Tuttavia è giusto continuare a riservarsi il giudizio. Ma il tempo concesso per correggere gli errori iniziali e per intraprendere un cammino più sicuro non è molto. C’è da sperare che, oltre alle numerose doti che Giorgia Meloni ha già messo in mostra, vi sia in lei la capacità di autocritica.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di dicembre 2022 – gennaio 2023. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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