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“I bambini sono il capitale umano del futuro” parola di Daniela Fatarella – Save the Children

A Natale siamo tutti più buoni? Sembra un luogo comune, ma in realtà è una riflessione che porta a valutare quanto e come ci predisponiamo a fare del bene, a praticare la cultura del bene, a dare senza aspettarci nulla in cambio. Nell’ultimo numero della Newsletter di MPW – Most Powerful Women – di questo 2022 ne abbiamo parlato con Daniela Fatarella, Presidente di Save the Children Italia, una donna che ha saputo dare una sua lettura personale al tema del ‘donare se stessi’ per una giusta causa. E ne ha fatto il suo lavoro.

In Italia sembra si sia più orientati ad azioni di volontariato, più che ad azioni concrete di charity e donazioni. Perché secondo lei?
E’ un fatto soprattutto culturale, in Italia il volontariato è da sempre inteso come ‘donare il proprio tempo’, mentre in altri paesi il settore del non profit è molto più professionalizzato. Ma anche da noi qualcosa sta cambiando, oggi c’è una volontà forte ad avere professionalità, anche nel settore del no-profit. Le aziende come la nostra devono essere più efficaci delle aziende ‘tradizionali’, noi abbiamo bisogno di competenze reali. Non basta voler far bene, bisogna saper far bene, e le azioni di charity dovrebbero essere valutate non per numero di progetti finanziati, ma rispetto all’impatto generato dall’azione.
Oggi sia aziende che istituzioni scelgono di affiancarsi a partner professionali, ma c’è molta strada ancora da fare. E per noi resta fondamentale il contributo delle migliaia di persone che vogliono portare un cambiamento attraverso l’azione del volontariato.

#EffectiveAltruism è un neologismo, creato dal giovane filosofo americano William MacAskill, che ha convinto migliaia di persone a cercare lavori remunerativi in finanzia e tecnologia, per poi donare le ingenti somme guadagnate ad enti di beneficienza certificati. Questa filosofia può arrivare anche in Italia?
Sicuramente. La filosofia del ‘puntare ad avere un impatto sociale’, oltre che economico, si sta diffondendo fra tutti coloro che hanno grandi patrimoni o grandi aziende, che hanno capito che non basta avere un impatto concreto solo su sé stessi o sugli shareholders, l’impatto deve riecheggiare sui territori, va condiviso con i propri clienti, i beneficiari, le comunità.
Esiste uno sguardo altro, e lo si esercita quando si parla di ‘finanza d’impatto’. C’è un movimento molto forte che parte dal basso, ma arriva anche a chi possiede grandi capitali. Guardiamo alle benefit corporation, con esempi di grandi benefattori che hanno trasformato i loro capitali in fondazioni, è il caso di Patagonia ma anche di Bill Gates, Warren Buffett. Hanno avviato un ‘filone d’intervento’ sull’intero pianeta, un cambio di paradigma rispetto al voler condividere i benefici del proprio operato solo con i propri investitori. Lo sguardo si allarga perché l’impatto sociale non è controproduttivo rispetto all’impatto economico, l’uno non va a detrimento dell’altro.
Si può arrivare all’effective altruism, ma ci sono tanti livelli intermedi che possiamo praticare, anche nel nostro piccolo.

Salviamo i Bambini… in Italia qual è la condizione di bambini e bambine?
Purtroppo possiamo dire che non siamo un paese per bambini. In Italia sono un milione e quattrocentomila i minori in povertà assoluta, quasi due bambini su dieci, abbiamo il 13% di dispersione scolastica, e circa il 30% dei ragazzi italiani rientra nella categoria dei neet (not in education, employment or training), che quindi non studiano e non cercano un lavoro, ed è un dato molto elevato. Una fotografia fosca, a cui si aggiunge il preoccupante dato della crescente denatalità che affligge l’Italia. I bambini sono il capitale umano su cui investire, ma in Italia vivono una condizione di grandi diseguaglianze. I dati non sono omogenei sul territorio, non solo fra nord e sud ma anche all’interno delle stesse città, tanto che si può parlare di lotteria della nascita, ovvero in base a dove nasci hai più o meno possibilità di ammalarti, ad esempio, di studiare o di vivere più a lungo. Per fare un esempio concreto, nel bilancio della provincia di Trento vengono destinati più di mille euro a bambino all’anno, in Calabria circa 100 euro. È necessario investire e continuare a spingere sul sistema scolastico, formazione curricolare ed extracurricolare, per consentire ai bambini di avere un futuro dignitoso ed in linea con le loro aspettative. L’Italia ha anche una fortissima dispersione educativa, non solo scolastica, i bambini non hanno accesso a sport, musica, non vanno mai al cinema, questa mancanza di stimoli provoca una chiusura che si rivela poi deleteria per il loro futuro.

Quali sono le azioni concrete che Save The Children Italia mette in campo per contrastare questo fenomeno?
Siamo presenti con spazi educativi nelle periferie delle città, ad esempio Milano e Roma. Operiamo nei quartieri, lavoriamo sulle abilità non cognitive, che è quello che serve a sviluppare consapevolezza di sé, fiducia, abilità che aiutino l’apprendimento. Educare significa liberare le unicità, sgretolare i limiti che sono imposti dal contesto di riferimento. Bisogna anche valutare le necessità di ogni bambino, le ‘dosi educative’ che sono bisogni pratici, materiali, ma anche di espressività, come il corso di teatro, di musica. Ci sono stati tanti talenti emersi durante questi nostri percorsi, anche una ragazza che è andata al Mit – Massachusetts Institute of Technology in America.
Per fare tutto questo servono persone che abbiano professionalità, educatori che stiano tutti i giorni con i bambini, e quelle professionalità hanno un costo. Dobbiamo superare il concetto che si possa risolvere tutto con l’aiuto caritatevole. Lavorare con e per i bambini è un investimento nel futuro del mondo, lo diceva la nostra fondatrice cento anni fa, ed è vero ancora oggi. Solo aiutando i bambini a diventare adulti migliori puoi davvero cambiare le cose, dare una spinta al futuro.

“La raccolta fondi è un mezzo, il fine è l’impatto”, questa una sua dichiarazione di qualche tempo fa, rispetto all’azione di Save The Children, che punta a cambiamenti su scala, che generino impatto. Quali le strategie efficaci che hanno reso così influente Save the Children?
La raccolta fondi è un mezzo. È importante avere chiara la tipologia di fondi che servono per portare avanti un progetto, se si tratta di fondi continuativi che garantiscono un sostegno pluriennale, fondi in cui il donatore ha la capacità di affidare all’associazione la scelta su come utilizzarli. Abbiamo una grande base di sostenitori, circa 500 mila persone che fanno donazioni mensili e lasciano a Stc la libertà di decidere dove investire quei fondi, noi onoriamo questo impegno con informazioni dettagliate su come vengono poi utilizzati. È importante diversificare nella raccolta fondi, e per questo lavoriamo con aziende, istituzioni, ognuno di queste tipologie di fondi porta benefici e impatto diverso nei confronti dell’infanzia, per innovare, agire sulle catene produttive del progetto, e impattano su molti bambini in comunità. Con il mondo delle istituzioni è possibile creare partenariati, che hanno l’impatto di advocacy sui territori. Viviamo in un mondo sempre meno “a misura di bambino”.
Il vero scopo di Stc è quello di non esistere. Vorrebbe dire che i diritti dei bambini sono rispettati, e noi non abbiamo più motivo di essere.

La condizione che stiamo vivendo, a livello globale con ricadute anche locali, quanto impatta sul benessere dei bambini di oggi e degli adulti di domani?
Tremendamente. Ci troviamo di fronte alla tempesta perfetta, fra crisi climatica, conflitti, conseguenze del covid e crisi alimentare. Sono le quattro C, interconnesse in maniera fortissima, che hanno accelerato le diseguaglianza in tutto il mondo, creando delle sacche di urgenza enormi. Nessuno sembra rendersi conto di questa crisi. Circa 13,6 milioni di bambini sotto i cinque anni, in tutto il mondo, sono a rischio di morte per fame, in Somalia, Afganistan, paesi piegati dagli effetti della crisi climatica. E poi i conflitti, che sono estremamente prolungati, con gruppi armati non riconosciuti e difficoltà di accesso ai paesi anche da parte di associazioni come la nostra. Il Covid, poi, ha impoverito i tessuti sociali e questo ha favorito il diffondersi di pratiche devastanti, come i matrimoni precoci, che riguardano sempre più bambine a cui viene impedito l’accesso all’istruzione, e condannate a vivere una vita domestica di reclusione. La scuola è per loro un luogo di protezione, che garantisce un pasto al giorno. In quei contesti, il matrimonio precoce viene visto come una forma di garanzia per le bambine, ma le conseguenze sono disastrose, pensiamo alle madri bambine, ed alle conseguenze psicologiche di tutto questo.
E poi la crisi alimentare, la guerra in Ucraina col conseguente blocco delle derrate di grano, che hanno avuto conseguenze devastanti in paesi come il Libano, che ha visto crollare la disponibilità alimentare e aumentare l’inflazione. L’infanzia è sempre più vulnerabile, e le bambine subiscono le conseguenze peggiori

 Si avvicina il Natale. Qual è il “consiglio del far bene” che possiamo dare?
Non smettere di far bene. A volte, rispetto a tutte queste difficoltà si reagisce con una sorta di assuefazione. Ma dobbiamo reagire, ognuno deve farsi attore di cambiamento. I nostri comportamenti influenzeranno le  generazioni future, il futuro di tutti.
Il cambiamento va fatto nei piccoli gesti, anche nei confronti dei bambini vicini a noi, nel nostro contesto di riferimento, ma non dimentichiamoci di chi è più lontano.
È giusto supportare le associazioni di aiuto sociale, ma le persone devono riflettere sul fatto di essere agenti di cambiamento. Siamo tutti ‘una forza gentile’, che significa avere il coraggio di entrare in un mondo di profondi cambiamenti, agitato e devastato da dibattiti molto violenti, entrare per cambiare le cose, per fare la differenza.

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