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Cybercriminali e tecnologie dirompenti: le sfide normative in Italia

L’immagine dell’orso bruno che in queste ore è circolata sui nostri siti governativi, istituzionali, bancari e aziendali l’abbiamo vista tutti. Stende la zampa sulla bandiera italiana. “Verso la nostra vittoria”, c’è scritto. Dove per ‘nostra’ si intende ‘loro’: l’attacco cyber di tipo ‘Ddos’ – un attacco volto a rendere indisponibile l’accesso a un servizio – è stato rivendicato da un gruppo filorusso. Nel 2022, secondo i dati riportati dalla Polizia Postale, gli attacchi da parte di cybercriminali rilevati nel nostro Paese sono stati 12.947, più del doppio dei 5.334 dell’anno precedente. E nel contesto attuale, nulla fa immaginare un 2023 – e un futuro – con numeri in diminuzione. I danni della ‘guerra digitale’ però, possono essere ben peggiori di quelli di una guerra di posizione. E avere conseguenze devastanti.

L’evento ‘The race to disruptive technologies: nations as ecosystems of knowledge’ organizzato dal Centro Studi Americani e Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine in collaborazione con l’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia, è partito proprio da queste considerazioni. Viviamo in un mondo sempre più iper-connesso in cui le nuove guerre non sempre si combattono su terra. Ed è per questo necessario approfondire e analizzare i rischi e le possibili strategie per gestire le evoluzioni già in atto, nella consapevolezza che la tecnologia non sia nemica. Ma vada orientata e sviluppata in un quadro di norme, valori e principi etici e morali condivisi.

Un momento di ‘The race to disruptive technologies: nations as ecosystems of knowledge’, l’evento organizzato dal Centro Studi Americani e Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine in collaborazione con l’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia

Nel 2017, in un discorso agli studenti per incoraggiarli all’impegno e alla dedizione nella propria formazione, il Presidente della Russia Vladimir Putin nell’illustrare i progetti più innovativi che ingegneri e ricercatori stavano nel frattempo sviluppando per accrescere la potenza commerciale, industriale tecnologica e militare della Nazione, disse: “L’intelligenza artificiale è il futuro, non solo della Russia, ma di tutta l’umanità. Chi diventerà leader in questo dominio governerà il mondo”.

A sei anni da quelle dichiarazioni, sebbene la guerra sia stata portata con le armi in territorio ucraino, lo scenario non è mutato. E vengono i brividi. La corsa al primato tecnologico non è rallentata e diventa sempre più cruciale per il posizionamento geostrategico di ogni attore internazionale.

Pandemia, guerra e competizione per il controllo delle fonti energetiche e delle materie prime hanno reso evidente la centralità dello sviluppo e dell’impiego delle tecnologie ‘disruptive’: quelle tecnologie che se da un lato rappresentano un’innovazione (e creano nuovo mercato), dall’altro sostituiscono aziende, prodotti e alleanze leader del mercato.

“Sono tecnologie dirompenti“, ha precisato a Fortune Italia Roberto Sgalla, direttore del Centro Studi Americani. “Siamo forse nel mezzo della prima più grande sfida tecnologica ed è un’opportunità. In Italia non è detto che siamo pronti ad affrontarla”.

Siamo la sesta potenza al mondo e la terza in Europa per spese in relazione al Pil, e una delle pochissime Nazioni ad avere una filiera completa su tutto il ciclo: dall’accesso allo Spazio alla manifattura, dai servizi per i consumatori ai poli universitari e di ricerca. Tuttavia, abbiamo bisogno di colmare un gap normativo.

L’Unione Europea è l’unica fino ad oggi ad aver proposto una disciplina sull’Intelligenza Artificiale in ambito civile. Ciononostante, non esiste una regolamentazione dell’impiego di questa tecnologia per scopi militari: né in Europa, né nel resto del mondo.

“Crediamo sia fondamentale riflettere su intelligenza artificiale a tutto tondo. Capire quali sono oggi le tecnologie più innovative, come costruirle, quali sono le filiere per la costruzione. E soprattutto: spingere per una regolamentazione dei paradigmi che le introducono, queste tecnologie”, ha detto Sgalla.

Roberto Sgalla, direttore Centro Studi Americani

Per farlo, secondo il direttore del Centro Studi Americani non occorrono solo esperti, ingegneri, scienziati. Ma anche filosofi. “Vanno introdotti criteri etici. Definire fino a che punto esattamente la macchina interferisce con l’essere umano. Fino a che punto un algoritmo può essere predominante. Pensiamo alla guida autonoma. Quanto siamo disposti a fidarci di qualcuno che utilizza le mani al nostro posto?

Il detto non sbaglia: chi fa da sè fa per tre. La tecnologia è un ausilio, non una sostituzione. Andrebbe ricordato anche a quei ragazzi che a poco a poco cominciando a delegare i loro compiti a ChatGpt. “Ci sono strumenti che stanno già cambiando il nostro modo di interagire col mondo e in futuro lo faranno ancora di più. Ecco perché è indispensabile prendere le giuste decisioni adesso“, ha concluso il direttore.

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