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Impegno delle imprese sul clima? L’Italia è maglia nera in Europa

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Le imprese europee? Non hanno piani credibili per allinearsi all’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi centigradi e frenare il cambiamento climatico. Non rispettano l’accordo delle nazioni unite a Parigi nel 2015. L’Italia fa registrare i risultati peggiori della media europea con il 38% delle imprese classificate solo in “fase di sviluppo” e nessuna come “avanzata”. Tutto scritto nero su bianco in un’analisi su un campione di società che rappresentano in aggregato circa il 75% dei mercati azionari europei, pubblicata nel rapporto “Stepping up” curato dall’organizzazione no-profit Cdp e dalla società globale di consulenza manageriale Oliver Wyman.

Circa la metà delle imprese europee mostra progressi “limitati” nella transizione climatica in linea con l’obiettivo degli 1,5 gradi, il 30-45% è classificato “in fase di sviluppo”, ovvero ha obiettivi di emissioni meno ambiziosi e più orientati all’aumento di 2 gradi, mentre meno del 5% (56) mostra progressi significativi. Il 54% delle imprese valuta la retribuzione dei dirigenti anche sulla base di parametri legati al cambiamento climatico, ma solo un terzo vincola le retribuzioni alla performance aziendale su clima, deforestazione e preservazione delle acque.

Dal rapporto emerge anche che fino al 40% dei prestiti, circa 1.800 miliardi di euro, finanziano imprese non allineate all’obiettivo degli 1,5 gradi. Nel 2024 la normativa Ue obbligherà tutte le aziende a rendicontare gli impatti sulla sostenibilità e l’accesso al credito sarà molto più difficile, man mano che le banche daranno attuazione ai propri piani di zero emissioni nette. Nel report sono incluse 86 realtà italiane che hanno presentato un rapporto a Cdp sui temi del clima, 16 sulla salvaguardia delle risorse idriche e 6 sulla deforestazione.

Sebbene 9 su 10 abbiano avviato iniziative per ridurre le emissioni, il rapporto rileva evidenti lacune nelle azioni necessarie per la transizione verso gli 1,5 gradi. Ad esempio, solo il 26% valuta in che misura le spese o i ricavi si allineano all’Accordo di Parigi e meno del 40% inserisce le questioni climatiche nei rapporti con i fornitori. Poiché il clima è solo una parte di una sfida più ampia legata alla sostenibilità, il rapporto ha esaminato anche le principali aree d’azione nell’ambito della biodiversità, della deforestazione e della sicurezza idrica.

Il 7% delle aziende ha dichiarato di avere un obiettivo forte per ridurre le emissioni, il consumo di acqua e la deforestazione, mentre il 39% ha dichiarato di impegnarsi pubblicamente a favore della biodiversità. Tra le aziende che condividono i propri dati con Cdp, il 71% già inserisce i dati relativi al cambiamento climatico, alla deforestazione e alla sicurezza idrica nella relazione annuale di gestione per gli investitori.

Per quanto riguarda i dati sulla biodiversità, invece, si scende a 1 azienda su 4. Nel frattempo, circa 1 impresa su 5 risulta avere una politica considerata “best practice” per ridurre l’impatto sull’acqua e il 29% adotta una politica “best practice” riguardo alla deforestazione zero. Solo il 5% dei player che comunicano a Cdp i dati sulle foreste attualmente certifica che il 90% dei volumi delle commodity impiegate non contribuisce alla deforestazione, mentre solo il 13% valuta l’impatto della propria catena del valore sulla biodiversità.

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