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Dalla scuola al lavoro, in Italia sei giovani su dieci soffrono di burnout

Alessandro ha ventisette anni, ma dice di sentirsene almeno il doppio. Nel 2016 si è iscritto alla Facoltà di ingegneria della sua regione, e dopo tre anni ha visto i suoi compagni fare le foto con la corona d’alloro e la pergamena di laurea all’ingresso dell’università. “Le hanno postate sui social. C’era chi le guardava e poi me le inoltrava chiedendomi: e tu? In quel momento il confronto tra loro, che ce l’avevano fatta nei tempi ritenuti opportuni, e me che ero bloccato allo stesso esame dal primo anno, mi ha spiattellato in faccia la realtà”, ha raccontato a Fortune Italia. “Ero al mio primo burnout: mi sentivo carico di responsabilità, con obiettivi troppo alti da raggiungere e in crisi lungo il percorso verso il traguardo“. Oggi, in Italia, circa sei giovani su dieci soffrono di disagi emotivi dovuti a esaurimenti da burnout e forti pressioni sociali. 

“Forse non ero così portato per gli studi come pensava la mia famiglia. In fondo realizzavo le aspettative di qualcun altro”, ha continuato Alessandro. “Ho cercato lavoro ed è per questo che mi sembra di aver già vissuto due vite, mi sento vecchio. Ma al lavoro, le cose non sono andate tanto meglio. La pressione da parte dei capi, ma anche dei colleghi più grandi mi ha portato a stare male fisicamente. Non riuscivo nemmeno più a svegliarmi la mattina, ero perennemente stanco, come se il corpo si rifiutasse. Stavo per mollare, e pur di fare buona impressione anche quando ero sommerso di compiti non dicevo mai di no. Poi, come succede quando sei nel burnout fino al collo, mi sono abituato a una condizione stressante”.

La storia di Alessandro non è un caso isolato. In Italia, sono oltre la metà i giovani che avvertono disagi emotivi – che possono avere ripercussioni sulla salute – a scuola, all’università o sul luogo di lavoro. Disagi dovuti principalmente a esaurimenti da burnout e al carico eccessivo di richieste di lavoro sui dispositivi mobili personali.

Telefoni che squillano, email che arrivano anche oltre l’orario d’ufficio. I dati arrivano dall’Osservatorio WellFare: una piattaforma di ascolto diretto con le giovani generazioni creata dal Consiglio Nazionale dei Giovani con l’obiettivo di guidare le istituzioni in una riflessione profonda sulle molteplici criticità legate alla salute mentale, relazionale, sociale, fisica e creativa dei giovani italiani. E sono allarmanti: perché se la vita (anche lavorativa) si è allungata, stress e preoccupazioni legate alla carriera arrivano sempre prima.

La ricerca dell’Osservatorio ha coinvolto circa 300 giovani dai 15 ai 35 anni provenienti da tutta Italia, con diversi livelli di scolarizzazione e diverse professionalità. In particolare, secondo il sondaggio, il 20% dei giovani intervistati ritiene sia necessario avere una maggiore flessibilità sugli orari lavorativi, soprattutto attraverso una gestione del lavoro orientata per obiettivi specifici da raggiungere.

I giovani suggeriscono alcune modalità per aumentare il benessere sul luogo di lavoro. Attraverso, ad esempio, la promozione di attività di supporto alla gestione delle pressioni quotidiane (19%), di prevenzione al benessere psicofisico (14,1%) e di supporto alla maternità (13,9%).

“Ansia, stress e nervosismo condizionano pesantemente la vita lavorativa degli under 35, anche a causa della pressione sociale dovuta alle aspettative degli altri, e su questo i social media hanno avuto un impatto estremo e una grande responsabilità”, ha dichiarato Maria Cristina Pisani, presidente del CNG.

Maria Cristina Pisani, presidente CNG

La società dei record straordinari, raccontati come ordinari, crea una pericolosa distopia tra il reale e il percepito. La paura del giudizio, le aspettative e il senso di inadeguatezza sono tra i principali motivi riportati come cause legate al senso di ansia, così come le incertezze per il proprio futuro e le scadenze impellenti nello studio e nel lavoro. “Purtroppo, i recenti casi di cronaca ne sono una drammatica testimonianza”, ha ricordato Pisani.

Per quanto riguarda i giovani a scuola, secondo l’indagine circa il 92% dei ragazzi dichiara di avere a disposizione uno sportello psicologico all’interno del proprio istituto ma, allo stesso tempo, il 48%, quindi quasi uno su due, ritiene che la scuola non abbia informato adeguatamente gli studenti sulle opportunità di assistenza psicologica, interne o esterne alla scuola stessa. Inoltre, la quasi totalità della componente studentesca riporta di risentire fortemente dei livelli di pressione del proprio istituto per l’ottenimento di buoni voti.

Diversi, invece, i dati relativi all’università, dove gli sportelli di supporto psicologico sono ridotti rispetto alle scuole, risultando assenti per tre rispondenti su dieci.

“Sistema scolastico, universitario o lavorativo, il burnout riguarda tutti. E’ uno stress cattivo, non l’ ‘eustress’ dell’endocrinologo Hans Selye che aiuta a trovare motivazione, a migliorare la produttività e a raggiungere i nostri obiettivi“, ha detto Alessandro.

Il problema, secondo il ventisettenne, è che non esistono solo i giovani studenti preoccupati perché provano a proiettarsi nel mercato del lavoro. Esistono anche i giovani lavoratori che nel mercato del lavoro già ci sono, ma che non ricevono tutele e garanzie a sufficienza. E quelli che le tutele e le garanzie le ricevono pure, ma che sono al centro degli ingranaggi di una macchina enorme e restano schiacciati.

“Mi spiego: una macchina funziona bene se e solo se sono al loro posto tutti i pezzi che la compongono. Se proprio i più giovani vengono ritenuti accessori, questa macchina non correrà mai“. Oggi c’è la pressione del “più fai, meglio fai” applicata in qualsiasi ambito. La società dell’iperproduzione. “Che la qualità superi la quantità non è una frase che sto inventando io adesso”, ha detto ancora Alessandro.

I sindacati discutono sulla settimana corta, molte aziende a partire dalla pandemia hanno incrementato lo smart working: che consente di dedicare più tempo a se stessi perché banalmente limita gli spostamenti casa-lavoro (riducendo significativamente le emissioni di CO2).

“Sono tutte misure che possono aiutare. È importante che proposte come la settimana corta vengano almeno messe sul piatto. Poi le lungaggini italiane le conosciamo. Ma parlo da giovane (che si sente vecchio): non lasciate che ci abituiamo a uno studio o a un lavoro passivo. Sì, certe cose sono sacrificio. Ma devono essere anche passione, altrimenti non ha alcun senso. Il percorso formativo e quello lavorativo sì scelgono. Non è normale sentirsi cinici nelle prime fasi di una carriera. A 27 anni svegliarsi e pensare: sono stanco”.

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