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Rigenerazione urbana. Le sgonfie Vele di Tor Vergata

vele tor vergata

Il cantiere di Calatrava è diventato, suo malgrado, uno dei manifesti più iconici (e ingombranti) dell’incapacità dell’Italia di portare a termine grandi opere lontano da Milano. Spettacolare ma incompiuta, la ‘Vela’ ha idealmente ospitato negli anni i mondiali di nuoto del 2009, gli europei di basket 2013, le Olimpiadi. Ora l’Expo 2030. Sarà sufficiente l’entrata in campo dell’Agenzia del Demanio per cambiare il corso di questa storia?

Città dello sport. Città della conoscenza. Si è parlato anche della nuova sede universitaria delle facoltà di Matematica e Scienze: la superficie libera, sopra i vuoti delle due grandi piscine, avrebbe potuto ospitare una nuova struttura, a più livelli; un edificio dentro l’edificio, sotto la copertura reticolare. Poi è arrivata l’idea dell’orto botanico, o ancora altri scenari legati al digital entertainment. Una saga infinita quella dell’incompiuta di Tor Vergata a Roma, con la maxi Vela firmata da Santiago Calatrava, rimasta un’icona urbana senza destino. Avviata nel 2005 dal sindaco Walter Veltroni per ospitare i mondiali di nuoto 2009, l’opera non ha ancora un futuro certo e nell’ultima campagna elettorale per scegliere il sindaco di Roma la querelle ha visto confrontarsi Carlo Calenda che lo ha definito “uno dei più mastodontici sprechi della storia. Una costruzione inutilizzabile, costosissima da mantenere e impossibile da completare. Un monumento al degrado” la cui unica soluzione sarebbe “demolire e riciclare i materiali”. Con la replica da parte di Tobia Zevi che ha sollevato un tema di modernizzazione e rigenerazione urbana: “Demolire l’architettura contemporanea e trasformarla in ferraglia?”.

In questo cantiere avevano lavorato anche 300 operai al giorno, con doppi turni, per correre contro il tempo verso la meta dei mondiali del 2009, e realizzare una maxi-struttura polifunzionale in un’area di circa 50 ettari. Il mancato coordinamento tra Comune e Università, la burocrazia, il rapporto contrastato con i costruttori. Lungo l’elenco delle fragilità di questa operazione che oggi è ancora una cattedrale nel deserto. Un’opera complessa, per l’architettura spagnola, per l’ingegneria italiana, ma soprattutto per la gestione in cantiere. Sono stati gettati 60mila metri cubi di calcestruzzo pieno che corrisponde a quanto servirebbe per riempire completamente di calcestruzzo 12 palazzine da 15 appartamenti ciascuna. Nella struttura di copertura ci sono 6,8 milioni di kg di acciaio, una quantità comparabile con quella della Torre Eiffel. Negli anni tutto è rimasto immobile, salvo qualche iniziativa spot, come il gigantesco set cinematografico per una produzione di Netflix che a fine 2018 ha di nuovo illuminato per qualche giorno il cantiere.

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